Come nacque Camaldoli
Nelle immediate vicinanze di Genova, sopra una delle più alte propagini delle colline liguri, si eleva un complesso edilizio risultante da un grande fabbricato, dominato da due eleganti costruzioni: la Chiesa ed un castello in stile fiorentino.
La storia della Villaggio della Carità, oggi Casa del Piccolo Cottolengo Genovese che accoglie persone disabili, anziane e con patologie psichiatriche, è molto intrecciata causa le varie vicende occasionate dall’intervento ripetuto degli austriaci e dei francesi.
L’Ordine dei Monaci Camaldolesi, fondato nel 1018, si stabilì in Genova circa nel 1620 ed ebbe la Chiesa di Santa Tecla che sorgeva sopra un poggio dominante San Martino d’Albaro.
Tre anni dopo, essendo la Repubblica Genovese in guerra con il Duca di Savoia, i Monaci di Santa Tecla (piemontesi) si trovarono ad abbandonare la Chiesa contro la loro volontà. Subentrarono così i Camaldolesi di Firenze fino al 1637. Proprio nel 1637 acquistarono dai Signori Franzosi un bosco poco lontano e lì eressero una chiesa ed un nuovo eremo; S. Tecla rimase come Cappella privata (e così esistette fino al 1743 quando fu trasformata in un forte tuttora esistente chiamato Forte di S. Tecla).
Nella chiesa che fu eretta spiccavano due antiche immagini della Madonna: una intitolata “Causa Nostrae Laetitiae” e l’altra “Nostra Signora delle Grazie”. I lavori terminarono nel 1640, ma gli austriaci poco dopo assalirono l’eremo e lo incendiarono. Una volta liberata Genova dai nemici, i monaci tornarono nell’eremo ma nel 1798 furono nuovamente costretti ad abbandonarlo a causa della Rivoluzione Francese: l’eremo veniva soppresso per ordine delle autorità, la chiesa chiusa e scacciati i monaci. Quel lembo di paradiso immerso nel verde cessava così di risuonare le preghiere e i sacri cantici per tramutarsi in uno squallido deserto.
Della chiesa incendiata rimasero solamente i muri laterali e il campanile; la stessa sorte toccò all’eremo, ma rimasero intatte tre celle. Una si tramutò in casa colonica, un’altra in osteria e la terza, più tardi, diventò una cappella (poi benedetta nel 1862).
La vita moderna di Camaldoli incominciò dopo un secolo di silenzio, quando nel 1899 venne in possesso dell’impresario teatrale Daniele Chiarella, egli lo volle trasformare in un luogo di villeggiatura e lo chiamò “Città Chiarella”. Il figlio, Achille, continuò l’opera del padre e vi fece costruire un albergo, un palazzotto arieggiante a castello e undici villette. Queste ultime sono allineate in doppia fila con l’albergo e il locale delle cucine e sono percorse da quattro viali denominati, nel 1965, viale Don Orione (il principale), viale della Madonna (che porta al santuario), viale Don Sterpi e viale Don Pensa. Inoltre la Chiesa venne ricostruita.
Il 5 luglio 1926 il Signor Chiarella scrisse a Don Orione, che aveva ricevuto in dono la proprietà di Quezzi dall’amico benefattore Tommaso Canepa, queste righe per chiedere la vendita dei terreni limitrofi alla sua città degli artisti: “Quale proprietario della località Camaldoli in Genova, mi permetto di rivolgermi alla S.V. per vedere se fosse possibile ottenere dal Sig. Canepa Tommaso la vendita di due appezzamenti di terreno confinanti con la mia proprietà. … Il primo apprezzamento è di circa 2500 metri quadrati di terreno non coltivati e di pochissima importanza, il secondo invece di 11000 anticamente adibito a bosco di castani, attualmente brullo e incolto, essendo stati tagliati tutti gli alberi. Avendomi il Sig. Canepa suggerito di fare un’offerta e di rivolgermi a S.V., offro per questi terreni la somma di L. 1 al metro quadrato…”
Don Orione non fece aspettare la sua risposta: “Anime e Anime! Gentilissimo Signore, la grazia e la pace di Gesù Cristo siano sempre con la Signoria Vostra! Riferendomi alla lettera di Vostra Signoria sono spiacentissimo di trovarmi nell’impossibilità di potere aderire alla richiesta degli appezzamenti di terreno nella località “Camaldoli” in Genova. Io anzi volevo chiedere alla Signoria Vostra che volesse nella generosità del suo cuore cedermi Camaldoli per accogliere poveri di ogni età colpiti da diversi mali, e fare Camaldoli “Città della Carità”… Io raccolgo tutto il rifiuto della società, tutti i rottami della vita…”
Quell’accordo non avvenne mai, ma nel frattempo la donazione di Tommaso Canepa portò Don Orione nella sottostante Quezzi, e Don Orione guardava lassù, a Camaldoli, e diceva “Come tutte le grandi metropoli hanno la città degli studi, la città giardino, Genova, dovrà avere e presto, il Villaggio della Carità”. E anche questo suo sogno, come tanti altri prima, si realizzò: un giorno invitò le sue benefattrici e raccontò loro della “Città della Carità” che stava progettando, delle sue intenzioni di farne casa per i più umili al mondo. E così che con la generosa spontaneità del popolo e con il concorso di persone facoltose, tra le quali il Comm. Sommariva e le famiglie Lo Faro-Foroni, il sogno di Don Orione diventava, subito dopo la sua morte, realtà: l’11 ottobre 1940 l’Opera della Divina Provvidenza entrava in possesso del Villaggio che veniva definito “della Carità”, come voleva Don Orione.
I Figli di Don Orione si prodigano al disbrigo dei lavori più urgenti e Il Santuario del Villaggio venne dedicato alla Madonna “Causa Nostrae Letizia”.
Il 3 maggio 1941 Don Sterpi, primo successore di Don Orione, aprì il suo grande cuore e le porte dell’accogliente Casa di Camaldoli al primo gruppo di ospiti: cinque poverelli accolti dal primo successore di Don Orione, il sacerdote Don Carlo Sterpi, venuto appositamente da Tortona.
Oltre ad accogliere anziani, menomati fisici e mentali, Camaldoli durante la seconda Guerra Mondiale divenne rifugio per ricercati politici; per questa attività tre sacerdoti furono arrestati e mandati in una prigione speciale sistemata nel palazzo Ducale.
Per un certo periodo furono presenti gli studiosi di teologia, per cui Camaldoli divenne “Istituto Teologico per i Chierici della congregazione”, voluto fortemente da Don Sterpi: così, come era nel suo stile, silenziosamente, il 7 novembre 1940 si cominciò l’anno scolastico.
Successivamente furono accolti dei bimbi tracomatosi, affetti da tracoma, un’infezione agli occhi molto fastidiosa.
Ed infine, è importante ricordare che a Camaldoli era presente una scuola medico-pedagogica, attività di avanguardia per quel tempo.
(Fonti: pubblicazione “La Piccola Opera della Divina provvidenza” anno LX settembre 1965. Le Mani della Provvidenza. Don Orione e i genovesi, 2013 ed Marconi, Genova. )
La varietà, il numero, la consistenza delle opere genovesi di Don Orione sono forse tutti racchiusi in queste sue parole: una porta aperta ad ogni dolore. Case, opere, che non nascono a tavolino ma da una fitta rete di incontri prima, di amicizie poi, da quelle occasioni insomma di manzoniana memoria che lui conosceva bene e che fiutava, seguiva, cominciando per prima cosa a mettersi in ginocchio. Perché ciò che andava realizzando era sempre e ovunque la volontà di Dio, volontà che si manifesta negli uomini con il segno della Provvidenza”
(tratto da Le Mani della Provvidenza. Don Orione e i genovesi, una porta aperta a ogni dolore di Davide Gandini)