Amare e servire i poveri, specialmente i più abbandonati senza distinzione
L’alto privilegio di servire Cristo nei poveri
Don Paolo Clerici, ci spiega attraverso questo suo contributo, il primo valore carismatico che il nostro Santo Fondatore ci ha lasciato in eredità: “Amare e servire i poveri, preferibilmente i più abbandonati, senza distinzioni”.
“Don Luigi Orione ci appare come una meravigliosa e geniale espressione della carità cristiana”. Così Giovanni Paolo II ha sintetizzato la vita e l’opera di Don Orione nel momento stesso e solennissimo, in cui lo proponeva alla venerazione della Chiesa mediante la beatificazione il 26 ottobre 1980.
Don Orione “fu certamente una delle personalità più eminenti di questo secolo per la sua fede cristiana apertamente professata e per la sua Carità eroicamente vissuta”. Dire di questa Carità è impresa ardua, se non impossibile, perché bisogna rifarsi a tutta la sua vita e a tutta la sua opera. La Carità è il filo conduttore dell’esistenza di Don Orione, è la trama sotterranea, ma evidente, che tiene a dire lui stesso, è il “sapore” di ogni sua impresa, della sua attività, senza soste.
Ancora vivente Don Orione era ritenuto santo dal popolo per la sua grande Carità. Egli stesso si è definito “Un cuore senza confini, perché dilatato dalla carità del mio Dio Crocifisso”. (Scritti 102, 33)
Il principio ispiratore di tutta la dinamica spirituale di Don Orione è sintetizzata in queste due affermazioni: “Farsi tutto a tutti” per “Instaurare Omnia in Christo”. Sono due principi strettamente collegati, dei quali il primo costituiva un mezzo per arrivare al secondo, ma entrambi sono la conseguenza del suo profondo amore per Dio. Ancora giovane sacerdote di 25 anni, così manifesta la sua volontà di consacrazione a Cristo:” Tutta la mia vita e le mie cose sono consacrate a Gesù Cristo, mio Dio, per ora e per sempre. Sarò tutto e di tutti per essere tutto di Gesù Crocifisso”.
Primo ambito di apostolato di Don Orione – secondo la tradizione salesiana ricevuta da Don Bosco a Torino – furono gli orfani e i ragazzi poveri. Nella lettera a Don Pensa del 5 agosto 1920 aveva proposto il suo programma: “Facciamo cristiana la vita, facciamo cristiana l’anima degli orfani e dei giovani a noi affidati. Questo è ciò che Iddio e la Chiesa chiedono a noi”.
Le grandi epoche, in cui don Orione si rivelò in tutta la sua carità padre degli orfani, furono quelle più tragiche per l’Italia del suo tempo: il terremoto di Messina e di Reggio Calabria (28 dicembre 1908); il terremoto della Marsica (13 gennaio 1915); la prima guerra mondiale (in Italia 1915-1918). C’è una pagina illuminante di Don Orione a proposito, intitolata Il primo nostro dovere: gli orfani. “Noi daremo per gli orfani la vita! Ad essi, dopo Dio e la Chiesa, le migliori nostre energie, gli affetti più puri del cuore! Ogni fatica, ogni sacrificio più umile, più puro del cuore! Ogni fatica, ogni sacrificio più umile, più nascosto sarà dolce, pur di riuscire a far di noi stessi un olocausto per gli orfani […]”.
L’urgenza dei bisogni dei poveri dimenticati dalla società, soprattutto di chi era più debole, gli anziani, i bambini, i malati, gli handicappati, lo spinse alla radice dei problemi sociali attraverso l’espansione della Piccola Opera, in uno scritto dell’aprile 1938 così il nostro Fondatore la descrive: “nata per i poveri, a raggiungere il suo scopo pianta le sue tende nei centri operai: e di preferenza nei rioni e sobborghi più miseri che sono ai margini delle grandi città industriali, e vive piccola tra i piccoli e i poveri… Al popolo essa va, più che con la parola, con l’esempio e con l’olocausto di una vita dì e notte immolata con Cristo all’amore e alla salvezza dei fratelli […] Suo campo è la Carità, però nulla esclude della verità e la giustizia fa nella Carità. La Piccola Opera vuole servire con l’amore. Essa, Deo adiuvante, si propone di aiutare praticamente le opere della misericordia a sollievo morale e materiale dei miseri… grido suo è il “Charitas Christi urget nos” di San Paolo e suo programma il dantesco “La nostra Carità non serra porte” […] Essa perciò accoglie ed abbraccia tutti che hanno un dolore, ma non hanno chi dia loro un pane, un letto, un conforto: si fa tutta a tutti per trarre tutti a Cristo”.
L’innata tendenza al concreto e l’intuizione dei problemi del popolo in quell’ultimo decennio dell’‘800 e primi anni del ‘900 stimolarono Don Orione ad operare una scelta sociale che fu dinamica, originale e guidata da un profondo senso del povero alle radici della marginalità, alla ricerca dei poveri più poveri per portare loro la Provvidenza.
Don Orione, intorno al 1931, anche alla luce dell’esperienza del primo viaggio in Sud America, iniziò ad aprire delle case di Carità con il nome di “Piccolo Cottolengo” per accogliere quei poveri che vivevano nelle periferie disagiate delle grandi città, guardati come rifiuti, rottami della società ma dal suo cuore ritenuti i poveri più abbandonati ma nostri fratelli e nostri padroni.
Il 17 marzo 1937 scriveva al Visitatore Apostolico, l’Abate Caronti: “Ho un desiderio: di amare il Signore e di amare la Santa Chiesa, le anime, i poveri, i fanciulli poveri, gli abbandonati, la classe povera, gli operai, i comunisti. Vorrei morire per questi miei fratelli e vorrei essere dimenticato da tutti, vivere e morire dimenticato da tutti, sotto i piedi di tutti, e solo amare Gesù, la Santa Chiesa e tutti, e perdermi nel Signore: io, indegnissimo, che tanto ho peccato, che sono stato tanto cattivo con il Signore e la Madonna e non ho tesoreggiato i doni del Signore”. (Scritti 50, 26).
Il 15 agosto 1927 scrive a un molto Reverendo Signore per ricercare vocazioni: “[…] Solo cerco persone che abbiano buono spirito, buona salute, buona volontà di amare, di servire Gesù Cristo, di lavorare in umile obbedienza, di sacrificarsi nella carità, di fare del bene ai poverelli, servendo Gesù nei poverelli. Perché noi siamo per i poveri: anzi per i più poveri e più abbandonati”. (Lettere II, 26)
Ad una suora scrive: “Al sig. De Ferrari vada lei a parlare e gli dica lo scopo dell‘Opera […] Il nostro statuto sta nell’accettare il rifiuto di tutti, trattare i poveri da fratelli e dare la vita per essi, nella carità di Gesù Cristo Signore nostro”. (Scritti 39, 60).
Per Don Orione i poveri sono sempre un’icona di Dio, “nel più misero degli uomini risplende l’immagine d Dio”. (Lo Spirito di don Orione 7, 19). E i poveri, per lui, non sono soltanto gli indigenti, gli infermi, gli orfani, gli handicappati, ma anche i traviati, i dubbiosi, i sofferenti di malattie morali, i ribelli a Dio… Tutti, tutti, tutti.
A tutti apre il cuore e le braccia della sua Carità, perché in tutti egli vedeva l’immagine di Gesù Cristo. Aveva fatta sua e citava con frequenza la frase di Padre Felice dei Promessi Sposi: “Avere l’alto privilegio si servire Cristo nei poveri e negli infermi”. È importante mettere in rilievo la motivazione evangelica nell’amore verso i poveri e i sofferenti: questi fratelli rappresentano Cristo sul calvario, che si ripete oggi nella storia. Don Orione, quando serve e cura le loro ferite, sa di curare e servire il Figlio dell’uomo. (cfr. Mt 25, 31-46).
Don Paolo Clerici