Spirito di famiglia

“La Piccola Opera della Divina Provvidenza deve essere una famiglia in Gesù Cristo”

Don Paolo Clerici approfondisce il terzo valore carismatico del nostro Fondatore.

La Piccola Opera della Divina Provvidenza deve essere come una famiglia in Gesù Cristo. Stretti dalla carità, uniti di cuore indivisibile in questo corpo morale che è la nostra Congregazione”[1]. Questo è il desiderio di Don Orione espresso nella lettera inviata a tutti i suoi religiosi e religiose come “Strenna Natalizia” nel 1934. Lo Spirito di Famiglia, vissuto e trasmesso dal Fondatore ai suoi figli, ha la sua radice profonda nel Signore Gesù Cristo: “La Congregazione prospererà e sarà benedetta pel merito di tutti che contribuiranno a mantenere l’unione e la pace, perché la nostra forza, o carissimi, sta nell’unione, il cui vincolo è Cristo”[2].

Lo Spirito di Famiglia, che è accoglienza, concordia dei cuori, dialogo, delicatezza, attenzioni è un dono dello Spirito che va invocato perché “Frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di se” (Gal 5, 22).

Questo spirito, vissuto con “passione” dal Fondatore e dai suoi religiosi della prima ora, è uno stile di vita cha va alimentato, perché “lo spirito della Piccola Opera è spirito di Carità”[3]. Esso è caratteristica peculiare del nostro carisma, che va gelosamente conservata, amata e trasmessa[4]. A tal proposito Don Orione ammonisce: “Quelli che cooperano alla perfetta concordia della volontà e dei cuori, sono nella carità e sono in Cristo; ma quelli che non si guardano dall’essere cagione di dissapori e di amarezze, e anche solo di freddezze scambievoli, non operano in Cristo, non sono nella carità, ma piuttosto si fanno ministri del diavolo, nemici di Cristo e di tutta la nostra Congregazione”[5].

La nostra tradizione ci offre il quadro prezioso di uno stile familiare di rapporti, che parte dalla relazione con Dio fino ad estendersi alle relazioni fraterne tra di noi, alimenta il nostro amore vicendevole che si effonde su tutta la comunità, in semplicità e cordialità di dialogo e di rapporti, divenendo generosa collaborazione al comune progetto apostolico.

“Avremo grande rinnovamento se avremo una grande carità. Dobbiamo però cominciare ad esercitarla tra di noi, a coltivarla nel seno dei nostri istituti, che debbono essere veri cenacoli di carità. Non daremo alle anime fiamme di vita, foco e luce di carità se, prima, non ne saremo accesi noi e molto accesi”[6].

Lo Spirito di Famiglia rafforza la nostra identità religiosa, ci aiuta a crescere in umanità e tenerezza, recando frutti di “umiltà, mansuetudine e pazienza” (Ef 4,2). Diventare dono per gli altri è possibile “dove si vive, si respira, si alimenta e si diffonde, si irradia e entro e fuori lo spirito di nostro Signore Gesù Cristo, che è carità”, rendendo più credibile il nostro apostolato perché: “Una comunità bella e forte, dove vive la dolce concordia dei cuori e la pace, non può non essere cara e desiderabile”[7].

Lo spirito che ci unisce in una sola famiglia ha bisogno di una disposizione fondamentale ed è l’umiltà. Non c’è amore se non attraverso un’umile pazienza: “Dove regna l’umiltà, c’è pure l’amore”[8].

La famiglia di Don Orione

“Mio padre era un uomo della migliore pasta di questo mondo, ma di quei liberaloni cresciuti alla Rattazzi. Lasciava però che mia mamma (una santa), andasse in Chiesa quando voleva, e vi conducesse anche me: dopo che al Signore debbo proprio a lei la mia vocazione”[9].      

Ecco uno dei tanti ricordi che ci aiutano a comprendere l’ambiente familiare in cui è cresciuto Don Orione. Vittorio Orione, papà dal cuore d’oro e Carolina Feltri, donna forte e di fede, furono la prima scuola di vita per il piccolo Luigi. Povertà dignitosa e lavoro duro, onestà e semplicità, sacrificio e umiltà hanno forgiato la personalità di don Orione: “Ricordo anche la buona armonia che regnava nella mia famiglia. Noi fratelli non ci siamo mai detti scemo od altro del genere”[10]. Tra fratelli così educati non meraviglia che si siano poi mantenuti, per tutta la vita, affettuosi rapporti.

Don Orione, nei suoi insegnamenti, parlando dell’amore fraterno e della vita comunitaria per educare i suoi figli spirituali, si serviva spesso dell’esempio della famiglia. Ai confratelli della Casa madre riuniti in cappella l’8 ottobre 1923, dice così: “Quando si assistono i moribondi, e specialmente i padri di famiglia, che devono abbandonare i figli, quali sono le raccomandazioni più insistenti ed amorevoli, che essi loro fanno? Amatevi, non litigate per la roba, siate tutti per uno e uno per tutti. E quando sorgono tra fratelli questioni, c’è sempre chi salta su a ricordare le parole dei vecchi genitori moribondi, che raccomandavano l’unione, e soggiungono: “fratello, per amore dei nostri genitori, per amore del papà e della mamma…”, ora se questo si fa nelle famiglie a maggior ragione dobbiamo farlo noi”[11].

Sullo stesso argomento, in un altro luogo, richiama il ricordo di sua madre e della propria famiglia: “Quando voi andate in una famiglia e trovate la buona armonia e vedete che c’è l’accordo degli spiriti, voi vi ci troverete bene. Diceva mia madre: “Meglio una fetta di polenta senza saracca mangiata in santa pace, che i capponi con il sangue al naso”[12].

Unitamente alla formazione familiare, va ricordata quella ricevuta da Don Bosco[13], che fu per il giovane Orione padre spirituale, educatore ed amico.  “Che vita felice si menava là da Don Bosco! – racconta Don Orione dopo tanti anni – C’era la gioia, la serenità di spirito, la letizia; che cuori contenti! C’era un grande affiatamento tra superiori e inferiori, e siamo venuti su in Domino(…)”[14].

Don Orione forma
allo spirito di famiglia

Con le parole, ma soprattutto con l’esempio, Don Orione voleva formare una vera famiglia. Lo confermano i ricordi dei primi anni della scuola al collegio S. Chiara. Racconta un ex-allievo: “Dal primo giorno Don Orione diede alla casa un andamento paterno-familiare, fondato sulla partecipazione, la persuasione e soprattutto l’esempio…Lui partecipava alle ricreazioni, voleva che tutti giocassero (…) spesso chiamava a sé uno di noi, lo interrogava sui progetti per l’avvenire, domandava della vita passata, dava consigli. Metteva nei cuori grandiose speranze. Teneva per i suoi non solo un cuore di padre, se c’era bisogno teneva cuore di mamma. Dette con cuore paterno, quelle parole, quegli avvertimenti o incoraggiamenti, riuscivano di grande importanza ed efficacia”.

Lo Spirito di Famiglia fu respirato dalla prima generazione degli orionini formati al “Paterno” di Tortona con l’abituale presenza di Don Orione, di Don Sterpi e dei primi santi confratelli. Don Orione godeva di stare come un padre in mezzo ai suoi figli. “Si sentiva che aveva il piacere di stare con noi e noi avvertivamo il piacere di stare con lui”.

Insisteva, ed era allora abituale, sull’uso dell’aggettivo “nostro”, niente possessivo “mio”, tutto in comune come nelle famiglie!

Le lettere che Don Orione scrisse ai suoi religiosi, agli amici e ai benefattori sono fonte preziosa per conoscere le relazioni paterne che seppe intrattenere e le relazioni fraterne che desiderava si instaurassero. Rileggiamo la lunga lettera che scrisse a Don Dondero, superiore di una scuola agricola a Mar del Plata in Brasile il 10 marzo 1916[15]. Tutto il tono della lettera conferma il suo intento di inculcare uno spirito di famiglia nelle relazioni tra i religiosi della casa. Don Orione, pur utilizzando solo una volta la parola “famiglia”, usa un linguaggio tipico dei legami e dei rapporti familiari. Riportiamo alcune espressioni: “mio caro figliuolo”, “codesta povera casa è sempre come un mare in tempesta”, “non c’è tra di voi, o figliuoli miei in Gesù Cristo, quella unione, quella vera concordia degli animi e carità fraterna di Gesù Cristo”, “vedi, o caro figliuolo mio, di edificare nella umiltà e di edificare ed unire nella carità”, “ognuno dei miei cari figliuoli consideri il bene e l’ordine di tutta la casa come il bene proprio e faccia tutto quello che può per riparare alla mancanza di vita spirituale e interiore e di vera carità religiosa in Cristo e faccia tutto quello che può per spargere, sempre più, nella famiglia religiosa e all’intorno, la dolcezza di tenera carità e l’unione più stretta dei cuori”, “ognuno cerchi di unire fratello con fratello e i fratelli con il Superiore e il Superiore col padre”.

Pur valutando questi pochi ma autorevoli suggerimenti espressi da Don Orione in questa lettera, possiamo stabilire alcuni comportamenti virtuosi da assumere anche noi oggi nelle nostre opere perché siano fedeli al suo carisma.

 

 

Un valore da coltivare
ed attualizzare

 

Fin dall’inizio della Congregazione lo “Spirito di Famiglia”, improntato alla carità fraterna, che Don Orione ha inculcato ai suoi religiosi, è stato vissuto e coltivato come un valore carismatico; oggi in quanto tale deve essere condiviso da tutti gli operatori laici che operano nelle Case Orionine.

Don Orione ci fa capire che “lo Spirito di Famiglia” richiede uno stile relazionale che si deve costruire insieme, e non la pretesa di un clima positivo che ci si deve attendere dagli altri. Tutti soggetti attivi e tutti fruitori del benessere che lo stile di famiglia realizza.

I gesti esplicitano le parole e le parole danno pieno significato ai gesti. Tra gesti e parole vi è piena coerenza e i due elementi si completano a vicenda. Come in una famiglia così anche in una Casa di Carità sono sia i gesti che le parole di ogni membro a costruire il vero clima del focolare domestico. Si sentenzia con troppa superficialità ma tutti sappiamo che “ne uccide più la lingua che la spada”. Nello stesso tempo essere famiglia sul luogo di lavoro non si riduce ad un manuale di parole gentili tra colleghi, perché è poi il nostro effettivo comportamento che attribuisce verità alle parole.             La coerenza tra gesti e parole negli operatori è fondamento dello Spirito di Famiglia che unisce tutti coloro che operano nel servizio agli Ospiti accolti nelle nostre opere.

“E intanto vedi, o caro figlio mio, – ricorda Don Orione – di edificare nella umiltà e di edificare ed unire nella carità tutto ciò che fu diviso, tutto ciò che fu distrutto o disperso da uno spirito umano contrario allo spirito di pace e di dolcezza e di carità in Gesù Cristo Crocifisso”. Lo Spirito di Famiglia si edifica nella umiltà e nella carità: non uno spirito di autoaffermazione, uno spirito di predominio del proprio ruolo per emergere, magari a scapito di altri colleghi concorrenti. Lo Spirito di Famiglia ricerca sempre il bene comune e sempre tutto valuta nell’orizzonte del bene comune; prima il bene degli Ospiti e contemporaneamente il ben-essere (psico-fisico) di tutti gli operatori. L’umiltà e il vero affetto generano sempre unità in un gruppo.

Questo valore deve essere accompagnato dalla testimonianza viva dei religiosi che sono i primi depositari e animatori del carisma. Le Costituzioni dei Figli della Divina Provvidenza ribadiscono che la nostra spiritualità “deve distinguerci per un grande spirito di famiglia, di accogliente semplicità e di santa letizia così da poter diffondere bontà e serenità su tutti i nostri passi e nel cuore di tutte le persone che incontreremo”[16].

[1]  Lettere II, p. 148.

 

[2]  Ibidem.

 

[3]  Lettere II, p. 149.

 

[4]  Vedi cap. 59 delle Costituzioni dei FDP.

 

[5]  Lettere II, p. 399.

 

[6]  Lettera a Don Pensa 2 maggio 1920.

 

[7]  Lettere I, p. 418.

 

[8]  S. Agostino, Prologo a S. Giovanni.

 

[9]  G. Papasogli, Vita di Don Orione, ed. Gribaudi, Milano 1974, p. 31.

 

[10]  Don Orione. I, p. 70.

 

[11]  Parola, III, 19.

 

[12] Parola III, 22.

 

[13]  “Se io sono sacerdote, dopo la grazia di Dio e l’intercessione di Maria SS.ma, io lo devo a Don Bosco”. (in A. Lanza, San Giovanni Bosco e il Beato Luigi Orione, in” Messaggi di Don Orione”, 69, Tortona-Roma 1986, p. 61).

 

[14]  Don Orione. I, p. 358.

 

[15]  Lettere I, pp. 129-136.

 

[16]  Costituzioni FDP, n.9.