Una signora datata, forse instabile, ma sempre benvoluta e attesa
Sul finire del mese di novembre si verificano strani movimenti nell’ufficio di don Giuseppe: vengono spostati mobili, aggiunti scaffali, teli bianchi ricoprono quello che il falegname, insieme agli aiutanti, con solerzia ha messo su. Le ospiti iniziano a ronzare attorno curiose, alcune persone volenterose caricano (e scaricano) i carrelli pieni zeppi di cose indefinite, raccolte via via durante l’anno che s’avvia al tramonto. A questo proposito vorrei precisare che io sono presente quasi ogni giorno nell’ufficio attiguo al predetto, quantunque invisibile, per ricevere il dono offerto da ogni volenteroso e doverosamente ringraziare per il poco e il tanto … .
La responsabile di tanto trambusto sono io: la Pesca di Beneficenza (nome e cognome di cui non sono responsabile, come ogni bimbo alla nascita, facendolo proprio nel crescere). Ogni anno faccio capolino a Paverano e per più di un mese cerco di animare e interessare persone di ogni genere, offrendo in una vetusta ruota, forse prebellica, tantissimi rotolini, ognuno dei quali contiene una sorpresa. Non sempre riesco ad accontentare quanti “pescano”, ma, si sa, la fortuna è bendata (e per taluni clienti persino cieca) …. Come e quando sono nata? Sono trascorsi tanti anni e la memoria non mi aiuta molto, ormai. In origine ero nobile, per titolo o per “pecunia”, quella cosa chiamata da chi non ne ha soldi, o per entrambi.
A dire il vero ero appartata, a numero chiuso, in un ambiente arricchito dai beni messi in vendita da benestanti e da consimili acquistati. Il frutto dello scambio serviva ad arricchire la mensa degli ospiti del Piccolo Cottolengo Genovese del pane e di poco altro, almeno finché il Comune non decise di erogare 1000 lire al mese per il pane di ciascun ospite. Ma allora io avevo già smesso abiti sfarzosi, aria da vip, madrine altolocate. Le ospiti, che fino ad allora mi avevano ammirato da lontano, decisero non fossi ancora da rottamare o, più elegantemente, licenziare, quantunque improprio, poiché di stipendio non ho mai visto neppure l’ombra, né prima ne’ dopo.
Nacqui a nuova vita col supporto delle suore e l’affetto smisurato di Anna Giambruno, Vincenzina Galluccio e Concettina Rossi. Mi crearono vivace e mi soprannominarono “lotteria”, aperta a tutti, con un passeggiare continuo di ospiti, dipendenti, parenti, amici, tanto da farmi inizialmente girare la testa (anzi la ruota!). Le tre ospiti “mamme” di cui sopra, visto che al pane del Piccolo Cottolengo, e quindi al loro, pensava il Comune, pensarono fosse buona cosa aiutare i giovani intenzionati a seguire le orme di Don Orione in modo che, al termine del tragitto, potessero aprire nuove strutture (o consolidare le esistenti) per ospitare altri bisognosi ai quali donare “col pane per la vita il divino balsamo della fede”. Si industriarono affiancandomi un “mercatino” molto particolare in quanto composto da articoli veramente disparati, tuttavia non per questo meno interessanti. Ormai mi sento quasi una terremotata d’altri tempi. Stavolta, per fortuna, è solo un cambio d’indirizzo. Se i giovani con intenti vocazionali latitano, non mancano i poveri, e non perché l’ha detto Gesù: basta guardarsi attorno! Così mi hanno detto di raccogliere i soldini e di mandarli in missione, specie dove morir di fame non è possibile, ma semplicemente una realtà. Cosa avreste fatto, voi? Io, nonostante il vostro parere, una coscienza ce l’ho!
Ed eccoci finalmente al fattore principale della nostra “pesca”: le persone. Con le loro cose, capacità, fantasia danno vita ad angoli variopinti e curiosi. Mani instancabili fasciano e sfasciano, puliscono e sistemano, cercano un ordine, un senso logico alla disposizione dei vasi, dei soprammobili, dei piatti, delle altre innumerevoli “cose” sistematicamente portate nell’arco dell’anno e, per fortuna, vendute nella quasi totalità! Il tutto con fervida costanza giornaliera. Alla fine mi rendo conto d’essere ammirata, coccolata, vezzeggiata, criticata (il mugugno è il vezzo di Genova), tanto da sentirmi persino bella. E poi c’è il secondo fattore, non meno importante; lo scopo. Se non ci fosse quello, sarebbe una semplice lotteria da sagra paesana, una curiosità, forse pure un diversivo. Per me tuttavia, resa edotta dalle mie “mamme”, c’è qualcosa in più.
Io so che un semplice biglietto, una “pescata” anche d’un solo euro va a buon fine, va a quelle missioni per le quali don Orione tanto pregava e a cui fortemente teneva, aprendo le prime oltre cento anni fa (1913). Tutto il ricavo va lì! Sarebbe bello se qualche bimbo delle missioni venisse a “pescare”, ma mi devo accontentare del loro sorriso a distanza e penso, con una punta d’orgoglio, d’intravvederlo leggere un libro o scrivere su un quaderno acquistati con i miei “numeri”, o, ancor meglio, mentre si cura, si nutre tutti i giorni. Mi sono presentata. Per conoscermi meglio, vi aspetto a Paverano. Sono presente fino alla Befana ( vi scongiuro di non confondermi con lei) sebbene non facilmente individuabile. Non so se fa parte del mio carattere, lo stesso che mi fa firmare
P.B.