Dove Dio abita – La Chiesa del Paverano

Lo sappiamo che non è il luogo che conta ma l’autenticità e sincerità della nostra fede in Gesù Cristo.

Lo sappiamo che non è lo splendore e la bellezza di una chiesa che giudica la nostra preghiera, ma a noi la nostra chiesa piace. Soprattutto dopo che il restauro del 2003 ha riportato alla vista la parte più antica, risalente al primo secolo del secondo millennio.

Qui hanno pregato centinaia di malati, la cui presenza ha illuminato non solo l’Istituto del Paverano, ma gli stessi sono stari fari di luce e civiltà per l’intera la città di Genova, come era nelle intenzioni di Don Orione.

Qui nel corso di nove secoli si sono alternati vari ordini religiosi, lasciando ciascuno le loro impronte liturgiche, architettoniche e spirituali, e sono vissute migliaia di persone che nella consacrazione a Dio si sono spese nel sevizio ai più poveri e abbandonati della società.

E’ stata consacrata nel 1118 dal Papa Gelasio II, nell’occasione già a Genova per la consacrazione della nuova cattedrale cittadina di San Lorenzo, ed è stata intitolata a San Giovanni Battista perché vi si celebravano i battesimi.

E siamo contenti che il Cardinale Angelo Bagnasco abbia concesso a tutti coloro che pregheranno nella nostra chiesa interna, ospiti, operatori, parenti ed amici, di poter lucrare, per un periodo stabilito, una indulgenza particolare applicabile ai vivi e ai defunti. E ringraziamo di cuore il nostro Arcivescovo perché lui stesso vorrà essere presente il 16 Maggio a celebrare con noi la festa annuale di San Luigi Orione.

Ma l’anniversario della nostra chiesa è anche l’occasione per una riflessione più generale sul significato della consacrazione cristiana, e quindi sul nostro rapporto con Dio e il valore della preghiera e degli atti di culto che in essa si compiono.

Ci ricorda innanzitutto che è Dio stesso che in realtà ci consacra, che consacra tutti coloro che credono in lui e si ritrovano nel suo nome e nel suo amore. Questa consacrazione avviene principalmente nel Battesimo.

Non siamo tanto noi a inventare delle cose o dei riti per incontrare Dio, ma è lui che si rivela a noi. Dio rivela se stesso, non rivela delle idee o dottrine, regole o riti, ma rivela la propria persona, entra in contatto con l’umanità in una relazione da persona a persona.

La consacrazione è essenzialmente una questione personale. Non è tanto il luogo che è sacro, o il tempo, il rito, il vestito, ma sacre sono le persone e le relazioni interpersonali e sono sacre quando sono di Dio; solo Dio è il Santo e noi diventiamo santi portati a compimento nella piena unità con lui.

Riscoprire la propria consacrazione battesimale vuol dire vivere pienamente la vita cristiana come offerta di sé nella prospettiva di essere una cosa sola con il Signore. Questo vale per i preti, vale per le suore, vale per i laici, vale per tutti i battezzati, perché tutti siano sempre più consacrati nella verità.

E’ bello rifare nostra la preghiera del re Salomone nel Tempio di Gerusalemme da lui costruito nell’anno 960 ac.
Il re, che ricopriva anche la funzione sacerdotale, si pose davanti all’altare del Signore, e di fronte a tutta l’assemblea di Israele, stendendo le mani verso il cielo, disse: «Signore, Dio di Israele, non c’è un Dio come te, né lassù nei cieli né quaggiù sulla terra! Tu mantieni l’alleanza e la misericordia con i tuoi servi che camminano davanti a te con tutto il cuore. Ma è proprio vero che Dio abita sulla terra? Ecco i cieli e i cieli dei cieli non possono contenerti, tanto meno questa casa che io ho costruita! Volgiti alla preghiera del tuo servo e alla sua supplica, ascolta il grido e la preghiera del tuo popolo, ascolta e perdona».

Noi facciamo memoria della consacrazione di un edificio perché è segno di quella chiesa che in essa si raduna, fatta di persone che sono in relazione di fede e di ascolto con Dio.

A catechismo si insegna a scrivere la parola chiesa con la c maiuscola quando indica le persone, con la c minuscola quando indica l’edificio. La chiesa di persone è più importante della chiesa struttura architettonica.

E’ quello che diciamo anche nella professione di fede: credo la chiesa una, santa, cattolica, apostolica.  Una comunità convocata dall’amore di Dio, che è santa per la presenza del Signore, che è universale perché aperta a tutti, che è apostolica perché fondata sulla testimonianza autorevole dei primi testimoni. Noi siamo la chiesa, anche quando un edificio non c’è, o è una semplice capanna o uno scantinato, o come purtroppo succede ancora in alcune parti del mondo è proibito avere una chiesa, un luogo in cui radunarsi per la preghiera.

Viene in mente l’episodio biblico quando i Babilonesi dopo essere entrati in Gerusalemme hanno distrutto anche il tempio. Il profeta Ezechiele che era già in esilio vede il carro della gloria di Dio uscire dal tempio, fermarsi sulla soglia, e poi prendere il volo fino a fermarsi sul torrente Chebar, proprio là dove il suo popolo era esiliato. Il tempio resta vuoto, sconsacrato, e i babilonesi demoliscono e bruciano solo una scatola vuota.

Ricordiamo anche l’episodio evangelico della purificazione del tempio da parte di Gesù. Distruggete questo tempio e io in tre giorni lo riedificherò, dice Gesù. Ma parlava del tempio del suo corpo.

Il tempio cristiano è l’umanità di Cristo, il corpo risorto del Signore. La pienezza della divinità abita nel corpo di Cristo.

E’ questo che non è luogo di mercato, cioè per una religiosità fatta di compravendita, di dare a Dio qualcosa per averne in cambio un’altra.

E quando Gesù muore sulla croce, nello stesso momento, racconta l’evangelista, il velo del tempio si squarciò. E’ cessata la funzione materiale sacra del tempio, non serve più. Si deve adorare Dio in spirito e verità, nell’autenticità della vita e della fede, là dove si vive e lavora.

Dal suo petto, squarciato da una lancia, sgorga sangue ed acqua, simbolo dei sacramenti della chiesa. Dall’antico tempio di Gerusalemme usciva un’acqua che fecondava tutta la vallata sottostante, dal costato di Cristo esce quel torrente di grazia che dà vita al deserto dell’umanità.

Gesù ci comunica una idea diversa di luogo sacro e ce la comunica con la sua vita: la sua è una offerta concreta, un dono d’amore, una relazione perfetta d’amore con il Padre. Ci fa capire che la consacrazione è questa relazione intensa di amore fra l’uomo e Dio, fra una persona e l’altra.

Chiediamo al Signore di essere chiesa credibile, che la testimonianza della nostra fede sia ben più grande della storia e dell’arte che nei secoli ha riempito le nostre chiese.

A che serve l’arte e la bellezza se non si vive uniti nella carità e nella comunione, se ci si dimentica che al centro c’è il Signore? Come un edificio si regge se tutti gli elementi architettonici sono al loro posto secondo il progetto del costruttore, così i membri della chiesa vivono e operano in una sincera e costante solidarietà.

Don G.M.