Omelia di Sua Ecc.za Mons. Giovanni D’Ercole, Vescovo, 16 maggio 2019

Paverano, 16 maggio 2019 Messa nel giorno della festa di San Luigi Orione

All’inizio ho detto che oggi Don Orione e tutti coloro che abbiamo conosciuto e i santi del Paradiso
sono tutti qui, ed è vero. Questa è la verità della celebrazione dell’Eucarestia. Quando noi siamo a Messa non è che ci siamo soltanto noi presenti, ma ci siamo tutti, ci sono i santi, ci sono le persone che ci hanno preceduto, perché la celebrazione dell’Eucarestia Gesù l’ha voluta perché noi vivessimo la realtà della Chiesa che è Paradiso e terra che si incontrano.

Quando ci incontriamo è evidente che ognuno di noi è diverso, ha una storia diversa, un modo di pensare diverso, un volto diverso, ha un modo di esprimersi diverso, ha un linguaggio diverso. La ragione per cui si fa fatica a capirsi è che ognuno di noi parla un suo linguaggio che non è uguale per tutti. Poco fa, prima dell’inizio della Messa, Mario di Bogliasco, mi ha dato un bellissimo regalo, tre lettere: lui le leggeva ma io non capivo quello che aveva scritto…

Vedete questo è importante, ognuno di noi ha un suo modo di pensare e un suo modo di esprimersi che non necessariamente noi riusciamo a capire.
Ma noi stiamo insieme, come facciamo a capirci?

Questa è una difficoltà che esiste da sempre, perciò Gesù ci ha lasciato una scuola di insegnamento straordinaria che passa attraverso i santi. San Luigi Orione, il nostro fondatore, è nato perché noi potessimo capire il linguaggio con cui poterci parlare tra di noi e condividere la vita. Questo linguaggio che voi trovate scritto dappertutto è un linguaggio che si impara un po’ per volta e la parola di Dio che abbiamo ascoltato oggi ce lo fa capire un poco alla volta.

Cominciamo dal Vangelo. San Matteo era uno che faceva una vita sicuramente non giusta perché era un corrotto che riscuoteva le tasse, quindi era veramente un ladro, si arricchiva così. Quando Gesù passa immediatamente abbandona tutto e lo segue. Memore della propria storia, di ciò che ha vissuto, Matteo è l’unico a raccontarci ciò che probabilmente ha sperimentato nella sua vita: come cioè ad un certo punto abbia compreso – e ce lo dice attraverso le parole di Gesù – che quando finirà tutto Gesù ci dirà “Ecco, tu mi hai dato da mangiare, tu mi hai dato da bere, tu mi hai sorriso, tu mi hai incontrato”.
E io dirò “Gesù ma quando mai ti ho visto?”.
E Gesù “Tu non lo sapevi ma nel tuo cuore avevo già messo il codice per la password per entrare nel programma che decodifica il cuore degli altri: l’amore”.
San Matteo ci insegna che Gesù dirà “Io ero affamato e tu sei venuto incontro a me” e che noi non ce lo ricorderemo.
“Ma come abbiamo fatto?” gli diremo.
“Avete lasciato che il vostro cuore si aprisse agli altri” ci risponderà.

Ma bisogna imparare a farlo questo primo passo, mettersi con pazienza. Ce lo insegna la prima lettura, che ci racconta quello che avvenne all’inizio della Chiesa (gli Atti degli Apostoli sono un
libro interessantissimo perché ci racconta come è nata la Chiesa!). I primi capitoli ci fanno vedere come vivevano i primi cristiani, poi si racconta la storia di Paolo soprattutto. Quando io leggo gli Atti degli Apostoli mi commuovo sempre, io lo chiamo il Vangelo dello Spirito Santo, perché ti fa capire che a guidare la Chiesa è lo Spirito Santo non sono gli uomini, perché già all’inizio litigavano tra loro, però le cose andavano avanti. E San Paolo che ormai sta per morire, è ormai alla fine, si avvia verso la fase più difficile della sua vita, lascia una consegna: “c’è più gioia nel dare che nel ricevere”. Sta parlando soprattutto a coloro che sono chiamati ad essere angeli custodi dei loro fratelli; parla quindi a ciascuno di noi perché ciascuno di noi è custode di un fratello che ha bisogno di noi, ognuno di noi è angelo custode e amico di chi ha bisogno di noi.

Io ho sempre incontrato nella mia vita e anche adesso continuo a incontrare quelle persone da cui ricevo sempre di più da quelle persone che spesso diciamo “i bisognosi di noi”. Noi diamo quello
che siamo e riceviamo in dono quello che da soli non ci possiamo conquistare. Ecco quindi che San
Paolo ci insegna un piccolo grande segreto, ci dice due cose.

Primo: dobbiamo lavorare con le nostre mani, cioè tutto quello che facciamo bisogna che sia frutto
delle nostre mani. Vedete nel linguaggio biblico, quando si parla delle mani non si intendono
soltanto le dieci dita ma si dice qualcosa di più, si dice di qualcosa che parte dal cuore. Quando io
accarezzo una persona non è semplicemente un gesto, è qualcosa che nasce dal cuore, perché la
stessa mano può offendere, può uccidere, può accarezzare, può abbracciare: ecco quindi che tutto
deve nascere dal cuore.

Ora tutto questo come si chiama? Si chiama amore? Sì si chiama Amore, con la A maiuscola, si chiama carità e qui arriva Don Orione che lo ripete e lo scrive dappertutto. E dice quello che avete scelto come tema per questa giornata, “la carità apre gli occhi alla fede”. La fiducia ha una f minuscola, è quella che tu riesci ad allacciare con gli altri; la Fede, con la F maiuscola è quella fiducia più grande che da solo non riesci ma ti viene data in dono da Dio quando tu la cerchi con sincerità, quando tu ti impegni a servire gli altri. Questo codice della fiducia e della fede noi lo scopriamo nel Vangelo e lo scopriamo soprattutto nell’amore di Dio ricevuto e condiviso. Don Orione in tutte le sue espressioni dice sempre “amare Dio e amare il prossimo”. Se si staccano queste due cose diventa qualcosa di inconcepibile, non si può amare Dio soltanto. Oggi ci sono tante persone che dicono in Chiesa “Signore io ti amo immensamente”, poi escono di chiesa e una persona che ha bisogno la scansano, in un modo dolce qualche volta, e qualche volta scorbutico. Si è rotta la sintesi. Purtroppo è venuto meno quel segreto fondamentale che permette di far sì che l’amore per Dio diventi concreto. Oppure ci sono persone che si dedicano interamente agli altri, spendono la vita per gli altri, però in loro non c’è il sorriso di Dio e trasformano una missione straordinaria in un mestiere.

Quindi ci deve essere questa sintesi: San Paolo ci insegna che la carità altro non è che Dio incontrato attraverso il volto delle persone che tu quotidianamente puoi incontrare. Non devi andare a cercare Dio chissà dove, ma dappertutto nel volto di qualsiasi persona che incontri c’è Dio. Ce lo ha insegnato Don Orione questo. Io l’ho imparato da lui, ho cercato di metterlo in pratica e ho visto che ha ragione, ho visto che è giusto. Ma oltre ad essere giusto ho visto che rende felici! Amare significa riempirsi il cuore di gioia! Proviamo a sostituire nella seconda lettura “carità” con “Dio”.

Dio è paziente. Quando mi metto alla scuola di Dio imparo come amare. Sappiamo che Don Orione non passava le giornate soltanto correndo da una parte all’altra, passava molto tempo in preghiera, per immagazzinare nel proprio cuore l’amore di Dio, la sua energia da spendere poi quotidianamente nel contatto con gli altri. Tutte queste virtù nominate nella lettera di Paolo non sono che la partecipazione di Dio nella nostra vita, ottenuta rimanendo a contatto con Lui.
Dio è benigno. Dio non è invidioso. Dio non si vanta, Dio non si gonfia, Dio non manca mai di rispetto, non cerca mai il proprio interesse, non si adira mai, non tiene conto del male ricevuto…
pensate quante cose ci insegna mettendoci alla Sua scuola! Sentite come ci cambia la vita proprio, ce la cambia totalmente! Non gode dell’ingiustizia – vedete come proprio ti trasforma, Dio che entra nella tua vita. Si compiace della verità, è contento della verità. Tutto copre, tutto crede, Dio tutto spera e tutto sopporta. Che grande questo nostro Dio! Dio non avrà mai fine.

Allora voi comprendete quanto è importante nella nostra vita avere incontrato Don Orione? Significa che alla sua scuola noi possiamo diventare come lui, moltiplicatori di questo amore di Dio che poi cambia il mondo. E lo possiamo fare in qualsiasi condizione ci troviamo: dal vescovo, al primario, al direttore, all’ospite, al bambino…chiunque di noi, non c’è differenza davanti a Dio perché tutti siamo ricchi possiamo arricchirci del suo amore.