Quel mattino di Pasqua
Gesù lo aveva annunciato che nel giro di pochissimo tempo, in tre giorni, sarebbe risorto dai morti, ma i discepoli non capirono, e solo la mattina di Pasqua riconobbero che la missione del Messia era quella di dare la vita attraverso la sua morte.
Dopo il dramma dell’arresto e dell’uccisione di Gesù entrarono in una profonda crisi, in una situazione di disperazione. Ritennero che tutto fosse finito, perché quando non c’è più vita non c’è più neanche speranza. Non c’era più niente da fare, avevano puntato tutto su quell’uomo riconoscendolo Messia, ma quell’uomo era finito miseramente.
Tutto invece comincia quel mattino di Pasqua. L’esperienza del Cristo risorto cambia la vita dei discepoli. L’incontro con il risorto è il momento in cui avviene il loro radicale cambiamento, la loro profonda e autentica trasformazione. Nasce la fede cristiana.
Il momento preciso della resurrezione non è raccontato da nessuno. Il fatto in sé trascende ogni esperienza, perché l’uomo Gesù, personaggio storico, reale, concreto, nel momento della resurrezione esce fuori dalla dimensione storica. La resurrezione viene definita un evento meta-storico, che va oltre le dimensioni spazio temporali, e tuttavia resta un evento reale che segna la storia e lascia tracce profonde nella esistenza umana degli apostoli. Non il fatto in sé viene raccontato, ma l’incontro con il risorto.
Il racconto di tutti gli evangelisti, dopo il dramma della passione, inizia con la visita al sepolcro il mattino di Pasqua. Gli uomini rimangono chiusi nell’ambiente dove erano stati accolti per la celebrazione della Pasqua, il cenacolo, con tutta probabilità la casa della famiglia dell’evangelista Marco, le donne invece vanno al sepolcro il prima possibile, cioè al mattino del primo giorno della settimana, quando è passato il grande sabato di Pasqua ed è finito l’obbligo del riposo.
Vanno al sepolcro per piangere il morto e completare i riti funebri con gli unguenti che il venerdì pomeriggio non erano riuscite a compiere. Non si aspettavano assolutamente di trovare la tomba vuota. Chi ci farà rotolare via il masso dall’ingresso del sepolcro, si domandavano lungo il cammino.
In questa figura della pietra tombale l’evangelista Marco ha voluto simboleggiare il dramma della morte: quel macigno atroce è l’esperienza della fine, insuperabile, inamovibile, è una pietra che schiaccia la vita e non ci si può far niente. Chi potrà togliere quel masso? La sorpresa che, meravigliate, trovano è che qualcuno ha già superato quel dramma, insuperabile per il resto dell’umanità. L’evento della resurrezione, non descritto, viene evocato come l’opera di Dio che ha cambiato la sorte dell’umanità.
L’evangelista Luca in particolare riporta un dialogo che avviene tra l’angelo, o gli angeli, e le donne. Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui, è risorto. Sembra dire: voi cercate Gesù il nazzareno, quello crocifisso, lo cercate qui, ma qui non c’è. È risorto, si è alzato in piedi, non giace e non è qui nel mondo dei morti.
Poi aggiunge una catechesi fondamentale: non ricordate come vi parlò quando era ancora in Galilea, dicendo che bisognava che il Figlio dell’uomo fosse consegnato in mano ai peccatori, e fosse crocifisso e risuscitasse il terzo giorno? Perciò ricordate il suo insegnamento, ricordatevi che quello che ha detto è effettivamente avvenuto. Bisognava, era necessario, rientrava nel progetto di Dio, che le cose andassero in questo modo.
La morte e la resurrezione di Gesù diventa così l’evento centrale del Regno. È il dono della vita, la comunicazione della stessa vita di Dio attraverso un dono generoso d’amore fino alla morte, e questo dono di un amore grande è più forte della stessa morte.
Quando Gesù aveva parlato non l’avevano capito, non gli avevano creduto, ma dopo, verificando che le cose sono andate proprio così, ricordano e credono alla parola di Gesù.
L’evangelista Giovanni, raccontando la visita al sepolcro, riporta dei particolari originali e probabilmente legati proprio alla sua stessa esperienza di quel mattino.
Racconta di Maria di Magdala che, trovato il sepolcro vuoto, corse e andò da Simon Pietro e dall’altro discepolo, quello che Gesù amava, e disse loro: «Hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto!». IL pensiero non va alla resurrezione ma allo spostamento del cadavere o a un suo furto.
Questo discepolo, probabilmente lo stesso apostolo Giovanni, corre più veloce di Pietro e, senza entrare nel sepolcro, narra con precisione i dettagli delle tele funebri come le ha viste, perfettamente integre, come erano sul corpo del defunto, soltanto che ora sono in posizione afflosciata. Le tele sono svuotate, sono rimaste al loro posto, con i legacci che tenevano insieme il lenzuolo aderente al corpo, ma il corpo non c’è più. Nessun agente umano avrebbe potuto portare via il corpo lasciando le tele in quel modo, e il discepolo vide e credette.
La tomba vuota è il primo segno della resurrezione, un indizio importante, necessario, anche se non sufficiente. Il fatto che il corpo di Gesù non sia più presente e che tutto sia rimasto integro, con le tele al loro posto e i soldati che facevano la guardia che non si sono accorti di nulla, è un indizio, un segno che è avvenuto qualcosa. La spiegazione banale “hanno portato via il corpo” non regge, l’altra spiegazione banale, che non fosse veramente morto e il freddo del sepolcro lo abbia risvegliato, e dopo aver dato uno spintone alla pietra se ne sia andato, è una favola inventata dai moderni.
Gli apostoli hanno trovato una realtà che non si aspettavano e sono stati sorpresi soprattutto dalle apparizioni pasquali. I racconti delle apparizioni sono tentativi di spiegare lo stato del risorto, tentativi narrativi di presentare la stessa realtà di prima, tuttavia completamente diversa. Sembra un paradosso: è proprio il Gesù che avevano conosciuto fino a qualche giorno prima, però è un Gesù completamente diverso. C’è bisogno di un certo tempo per poterlo riconoscere. Se gli occhi non si aprono sembra il giardiniere, un viandante qualsiasi, uno che chiede di mangiare sulla riva del lago. Le sue ferite, i segni dei chiodi, sono il segno storico del dramma della croce, ora superato e trasfigurato, perché la resurrezione non cancella la storia.
Saranno soprattutto le apparizioni l’esperienza decisiva che li fa maturare e li trasforma. Hanno inventato tutto per non risultare dei falliti? Per guadagnarci che cosa? Il disprezzo degli uomini, le persecuzioni, l’essere incarcerati e uno a uno messi a morte? Come poteva avere il coraggio Pietro, che l’aveva tradito dinanzi a una serva, dire poco tempo dopo, di fronte alle autorità, fate quel che volete, mettetemi pure a morte ma io devo dire quello che ho visto e devo ubbidire a Dio prima che agli uomini?
Attraverso la fede lo riconoscono risorto, lo riconoscono il Signore, il Signore del cielo e della terra, che nel momento di tornare al Padre dirà loro: poiché ho ogni potere, andate dunque e fate discepoli tutti i popoli e battezzateli nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo. Con la loro predicazione, gli apostoli, da uomini timidi e increduli diventano i testimoni coraggiosi della Resurrezione nei secoli.
D.G.M