Alla testa dei tempi

“I tempi corrono velocemente e sono
alquanto cambiati, dobbiamo andare e
camminare alla testa dei tempi e dei popoli”

Siamo giunti alla fine del nostro percorso di approfondimento dei sette valori Carismatici di Don Orione e, con l’aiuto di Don Paolo Clerici, affrontiamo l’ultimo: “alla testa dei tempi”.

Una carità intelligente va esercitata con i migliori e più moderni metodi e mezzi. Don Orione non esitò a fare scelte coraggiose nel campo educativo, assistenziale, dei mezzi di comunicazione sociale: “In tutto ciò che è progresso non dobbiamo essere secondi a nessuno; quindi dobbiamo imparare tutto quello che può renderci utili a tutti e in tutti i modi. Dobbiamo portare una nuova ondata di vita nella società”.[1]

I tempi in cui si formò ed operò Don Orione contengono una dinamica di movimento assai marcata nel settore culturale, politico e sociale. Il cambiamento era certamente più laborioso e meno veloce di quello contemporaneo ma si smuovevano posizioni secolari, ritenute assolute e inamovibili. Gli ultimi anni dell’800 e inizio ‘900 sono segnati dalle scoperte scientifiche, incontrandosi o scontrandosi con la tradizione religiosa del passato, creano il “grande problema cristiano di come conciliare fede e cultura” e, in un certo senso, spiegano poi “il fenomeno del modernismo”, il procedere del razionalismo, la laicizzazione della scienza. L’800 è anche il secolo delle grandi rivoluzioni industriali, “la civiltà delle macchine” crea una società operaia ben presto sfruttata con il conseguente pauperismo con buon gioco di forze estremiste contrarie alla fede. Gli atteggiamenti della cultura che crea l’età moderna non sono cristiani, già Papa Leone XIII in una sua Enciclica del 15 settembre 1890[2], rivolta agli italiani sulla guerra che si fa alla Chiesa aveva additato “il grave pericolo che correva l’Italia di perdere la fede”. La massoneria agiva in profondità non solo attaccando la Chiesa, o monopolizzando la vita politica, ma determinando anche la cultura e la scuola.

In questo contesto storico, Don Orione diede forma anche all’opera della sua Congregazione: “Non si potrà far tutto in un giorno, ma non bisogna morire né in casa, né in sacrestia: fuori di sacrestia! Non perdere d’occhio mai la Chiesa, né la sacrestia, anzi il cuore deve essere là, la vita là, là dove è l’Ostia; ma, con le debite cautele, bisogna che vi buttiate ad un lavoro che non sia più solo il lavoro che fate in Chiesa”.[3]

Nel clima di disorientamento culturale, politico e sociale a cavallo dei due secoli, Don Orione aveva chiara coscienza, più di altri fondatori, del mutamento ormai avviato nella società come evidenziato in molti suoi scritti. M. Marcocchi afferma: “Don Orione si riallacciò alla tradizione ottocentesca di Don Bosco e del Cottolengo, ma con più acuta sensibilità di Don Bosco e del Cottolengo percepì le trasformazioni di una società che si andava industrializzando, valutò le conseguenze di questi processi sul piano sociale e morale, intuì il ruolo decisivo della classe operaia e le sue esigenze”.[4] L’azione sociale e l’attenzione al mondo operaio sono state sempre vive in Don Orione: “Via i timori e non esitiamo; muoviamo alla loro conquista con ardente e intenso spirito di apostolato, di sana e intelligente modernità. Gettiamoci alle nuove forme, ai nuovi metodi di azione religiosa e sociale, sotto la guida dei vescovi, con la fede ferma, ma con criteri e spirito largo. Niente spirito triste, niente spirito chiuso, sempre a cuore aperto, in spirito di umiltà, di bontà, di letizia”.[5]

C’è un discorso di Don Orione, del 27 agosto 1937, appena tornato dall’America latina, che indica pienamente la sua visione e il suo progetto. “Noi siamo per i poveri, per i più poveri e ve lo dico dopo che sono tornato dall’America. Quando si va in America e si torna dall’America si americanizza – si allargano le idee – ma su questo punto sono divenuto più rigido. Il popolo è abbandonato, l’avvenire – ricordate – è del popolo, è della classe proletaria… se non daremo ai poveri, ai più poveri, saremo tagliati fuori. E la Congregazione è per i poveri, solo per i poveri più poveri. Dico questo ed insisto per tracciare il solco, e non è la prima volta. Se no, succederà che si farà il deserto attorno alla Chiesa. La Chiesa ha sempre curato i poveri ed il popolo crede che la Chiesa sia una matrigna. La società si orienta in senso popolare. Sono gli obreros che bisogna avere nelle mani, gli operai… È dei figli degli operai che dobbiamo curarci, dei poveri, degli abbandonati. La Congregazione è per questa gente e solamente per questa”.[6]

Si era in un’epoca di transizione. Don Orione ci richiama a vivere e a “camminare alla testa dei tempi”, utilizzando metodi e mezzi per una maggiore efficacia apostolica e carità evangelizzatrice. “I tempi corrono velocemente e sono alquanto cambiati, e noi, in tutto che non tocca la dottrina, la vita cristiana e della Chiesa, dobbiamo andare e camminare alla testa dei tempi e dei popoli, e non alla coda, e non farci trascinare. Per poter tirare e portare i popoli e la gioventù alla Chiesa e a Cristo bisogna camminare alla testa. Allora toglieremo l’abisso che si va facendo tra il popolo e Dio, tra il popolo e la Chiesa”.[7] Sempre guidati dal criterio di meglio servire invitava a fare scelte di metodi e mezzi ponderate e sagge “con criteri e spirito largo. Tutte le buone iniziative siano in veste moderna, pur di seminare e arare Gesù Cristo nella società”.[8]

Il 5 agosto 1920 indirizza a Don Carlo Pensa, superiore degli Istituti di Venezia, una lunga ed impegnativa lettera[9] dove con alcune affermazioni indica il suo pensiero e desiderio di affrontare la modernità con novità di iniziativa “a meglio riuscire a salvare le anime”: “Ma noi non facciamo politica: la nostra politica è la carità grande e divina, che fa del bene a tutti. Noi non guardiamo ad altro che alle anime da salvare. Che, se una preferenza la dovremo fare, la faremo a quelli che ci sembreranno più bisognosi di Dio, poiché Gesù è venuto più per i peccatori che per i giusti… Ma, a meglio riuscire a salvare anime, bisogna pur saper adottare certi metodi, e non fossilizzarci nelle forme, se le forme non piacciono più, se diventano, o sono diventate, antiquate e fuori uso…. Facciamo cristiana la vita; facciamo cristiana l’anima degli orfani e dei giovani a noi affidati; questo è ciò che Iddio e che la Chiesa chiedono da noi. E adoperiamo tutte le sante industrie, tutte le arti più accette e più atte per arrivare a questo! … Anche quelle forme, quelle usanze, che a noi possono sembrare un po’ laiche, rispettiamole, e adottiamole, occorrendo, senza scrupoli, senza piccolezze di testa; salvare la sostanza bisogna! Questo è tutto”.[10]

San Luigi Orione ha avuto sempre vivo il senso del cambiamento, la percezione delle diversità, la necessità di duttilità ai tempi, ai luoghi e alla cultura. Una delle caratteristiche sue tipiche è la modernità, intesa non tanto come modello socio culturale, quanto piuttosto come atteggiamento spirituale e operativo da lui espresso come un “camminare alla testa dei tempi e dei popoli” motivato dalla finalità apostolica del “togliere l’abisso che si va facendo tra Dio e il popolo”.

La formula “fedeltà creativa”,[11] particolarmente cara al Papa Giovanni Paolo II, ben si addice all’atteggiamento di modernità vissuto e trasmesso da Don Orione. Don Orione ha gli occhi e il cuore aperti sulle realtà e sulle miserie dei fratelli e sulla missione affidatagli da Dio, Egli invita anche noi a guardare la realtà per trasformarla nella carità, vivere la verità e la giustizia nella carità, facendo si “che le lettere, la scienza, la virtù… tornino ad apparire quelle indissolubili sorelle che troppi si adoperano stoltamente a separare”.[12] In questo modo la carità si realizza non come palliativo assistenziale, ma come promozione di giustizia, di dignità e di salvezza integrale dell’uomo e della società.

Don Orione indica che la Piccola Opera è chiamata a vivere “uno spirito più vivo e più grande di fraterna carità tra gli uomini, rivolto ad elevare, religiosamente e socialmente, le classi dei lavoratori, a salvare i diseredati da ideologie fatali, ad edificare ed unificare i popoli in Cristo”.[13]

Con questo atteggiamento egli affrontò alcuni problemi sociali cruciali del suo tempo. La giustizia nel mondo operaio “lavoratori e lavoratrici… è suonata l’ora della vostra riscossa”[14], la parità e la dignità della donna nella società “confessiamolo francamente, noi cattolici abbiamo trattato il femminismo con una leggerezza deplorevole”[15], la promozione di razze e categorie di popolo discriminate  “ io vorrei dar principio ad una famiglia di suore nere… quanto ai preti neri, è un’opera di giustizia verso di essi”[16], l’ecumenismo “quest’opera dell’unione delle chiese separate, mi parve sempre opera di carità, ma anche un po’ di riparazione da parte nostra”.[17]

La creatività dell’amore, a bene di tutti, non ha mai fine. Non possiamo accontentarci di quello che sempre si è fatto. Egli afferma che “per fare il bene bisogna avere anche un po’ di fantasia, ardimento e serena e santa piacevolezza.[18]

Tornato in Italia dopo tre anni di permanenza in America Latina, nell’aprile del 1938 don Orione stende il ritratto della Piccola Opera della Divina Provvidenza:

“È una Congregazione religiosa umile, moderna nei suoi uomini e nei suoi sistemi, tutta e solo consacrata al bene del popolo e dei figli del popolo, affidata alla Divina Provvidenza. Nata per i poveri, a raggiungere il suo scopo essa pianta le sue tende nei centri operai, e di preferenza nei rioni e sobborghi i più miseri, ai margini delle grandi città industriali, e vive, piccola e povera, tra i piccoli e i poveri, fraternizzando con gli umili lavoratori, confortata dalla benedizione della Chiesa, dal valido appoggio delle autorità e di quanti sono spiriti aperti ai nuovi tempi di cuore largo e generoso. Al popolo essa va, più che con la parola, con l’esempio e l’olocausto d’una vita dì e notte immolata con Cristo, all’amore e alla salvezza dei fratelli. Pur vivendo un’unica fede, pur avendo un’anima e un cuor solo e unità di governo, sviluppa attività molteplici, secondo le svariate necessità degli uomini, ai quali va incontro, adattandosi, per la carità di Cristo, alle diverse esigenze etniche delle nazioni tra cui la mano di Dio la va trapiantando. Essa non è, dunque, unilaterale, ma, pur di seminare Cristo, la Fede e la civiltà, nei solchi più umili e bisognosi dell’umanità, assume forme e metodi differenti, crea e alimenta diversità di istituzioni, valendosi, nel suo apostolato, di tutte le esperienze e dei suggerimenti, che attinge dalle locali autorità. Suo anelito è la diffusione, tra il popolo, dell’Evangelo e dell’amore al “dolce Cristo in terra”, nonché uno spirito più vivo e più grande di fraterna carità tra gli uomini, rivolto ad elevare, religiosamente e socialmente, le classi dei lavoratori, a salvare da ideologie fatali i diseredati, ad edificare ed unificare i popoli in Cristo. Suo campo è la carità, però, nulla esclude della verità e della giustizia, ma la verità e la giustizia fa nella carità”.[19]

Secondo quanto espresso nel Capitolo generale dei Figli della Divina Provvidenza “Alla vigilia del terzo millennio cristiano stiamo vivendo un tempo carico di sfide e di enormi potenzialità positive. Un tempo nel quale le frontiere dell’evangelizzazione si allargano, domandando coraggiose scelte apostoliche. Il formarsi di un mondo più unito, grazie all’incremento delle comunicazioni, l’affermarsi tra i popoli di quei valori evangelici, che Gesù ha incarnato nella vita, e lo stesso tipo di sviluppo economico e tecnico che spesso si rivela senz’anima, esigono da parte dei credenti, ma in maniera singolare da voi religiosi, ardore rinnovato, audacia missionaria, disponibilità costante e fedeltà indomita a Cristo e al suo vangelo di speranza e di misericordia.E non come palliativo assistenziale, ma come promozione di giustizia, di dignità e di salvezza integrale dell’uomo e della società. Nell’impegno per la nuova evangelizzazione la vostra famiglia religiosa troverà, ne sono certo, se saprà aprirsi ad un’autentica consapevolezza missionaria, ragioni ideali e stimoli concreti per una costante crescita ed un vivo rinnovamento evangelico”.[20]

Giovanni Paolo II disse: “I rivolgimenti sociali, di cui siamo testimoni, e le sfide pastorali che oggi ci incalzano in previsione dell’avvenire, interpellano la vostra famiglia religiosa perché essa, come già fece Don Orione in un altro periodo storico certamente non facile, possa rispondere alle nuove esigenze apostoliche con rinnovate forme di evangelizzazione e di promozione umana in profonda sintonia con il successore di Pietro e con i vescovi. In tal modo, fedeli al vostro carisma specifico, voi potete realmente servire la causa di Cristo, della Chiesa e dei poveri”.[21]

“Fedeltà creativa in un mondo che cambia: sia questo orientamento a guidarvi per camminare, come amava ripetere Don Orione, alla testa dei tempi”.[22]

Don Paolo Clerici

 

[1] Parola VII, 142

 

[2] Tutte le encicliche dei Sommi Pontefici, Vol. I, Dall’Oglio, Milano 1959, p. 421.

 

[3] Lettere II, p. 77. Lettera del 12 gennaio 1930 ai cari figliuoli di San Paolo in Brasile

 

[4]  M. Marcocchi, Orione Luigi, in Dizionario storico del Movimento Cattolico in Italia (1860-1980), II I protagonisti, Casale Monferrato 1982, pp. 433-435. I temi sociali hanno sempre fatto da supporto agli interventi caritativi di don Orione: curare le ferite del popolo e dei singoli per arrivare all’essere umano nella sua totalità cfr, E. Casolari, Don Orione e le problematiche sociali del suo tempo, in Messaggi di Don Orione n. 129, 2 (2009), pp.17-24

 

[5] Scritti 61, 115.

 

[6] Riunioni, 179.

 

[7] Lettere I, p. 251.

 

[8] Scritti 79, 300.

 

[9] La lettera è stata commentata da Mons. Raffaele Forni – Arcivescovo titolare di Egina in Messaggi di Don Orione, n.35.

 

[10] Lettere I, p. 251

 

[11]  L’espressione è contenuta e illustrata in Vita consecrata n. 37.

 

[12] Scritti 26, 164.

 

[13]  In cammino con don Orione. Dalle lettere, Roma 1972, pp.320-321.

 

[14] Nel nome della Divina provvidenza. Le più belle pagine, Edizioni Piemme, Casale Monferrato (AL) 1995, p. 45.

 

[15] Idem, p. 50.

 

[16] Spirito di Don Orione, 2, p.114- 115.

 

[17] Scritti 97, 5.

 

[18] Scritti 26, 164; 57, 77.

 

[19] La Piccola Opera della Divina Provvidenza in Nel nome della Divina Provvidenza, op. cit., p.167-168.

 

[20] Al Capitolo Generale dei FDP, in L’Osservatore Romano, 17 maggio 1992, p. 5.

 

[21] Udienza Assemblea Generale, in L’Osservatore Romano, 1 maggio 1990, p. 6.

 

[22] Messaggio di Giovanni Paolo II per il centenario della Piccola Opera in “Messaggi di don Orione” n. 111, 2(2003), p. 93