VIII Convegno Apostolico “La spiritualità nella Qualità della vita: il dominio mancante

Fragilità e fede
“[Nel Vangelo] si rivela la giustizia di Dio, da fede a fede, come sta scritto:
Il giusto per fede vivrà” (Rm 1,17)

(intervento dell’Arcivescovo di Milano, Mario Delpini, che ha aperto l’VIII Convegno Apostolico dell’Opera Don Orione – Aula Magna Università Cattolica di Milano)

 

  1. La fede magica.

C’è la fede magica: quell’atteggiamento forse che di fronte alla minaccia, all’enigma, allo spavento compie gesti nei quali si manifesta un potere che rassicura. La fede magica cerca una formula, un gesto, che sia una invocazione o una forzatura perché un potere superiore scongiuri il pericolo o assicuri un risultato.

Nella fragilità è abituale sviluppare un senso di colpa e cercare un esorcismo per contrastare gli influssi malefici. La fragilità può avere le forme più diverse, ma il dinamismo della fede magica sembra sempre piuttosto simile.

La fede magica si manifesta in modi molto diversi, anche in rapporto alle diverse culture. La fede magica può anche essere ritenuta e disprezzata come infantile o primitiva, pre-scientifica, irrazionale. Ma il disprezzo non è mai una buona via per conoscere e comprendere.

La fede magica ha la sua origine in profondità insondabili, anche se in molti modi esplorati, dell’animo umano. La fragilità è un condizione che inclina facilmente alla fede magica, anche in contesti molto scientifici e razionalistici.

Gesù non condanna la fede magica e neppure la mette in discussione: la donna emorroissa si sente dire: “Figlia la tua fede ti ha salvata. Va’ in pace e sii guarita dal tuo male” (Mc 5,34).

  1. La fede pagana.

C’è la fede pagana: quell’idea di un contratto con Dio che in cambio di alcune prestazioni garantisce protezione, risultati, salvezza. Le prestazioni che Dio richiede, secondo la fede pagana, possono essere sacrifici di animali, sacrifici personali come astensione da carni o da cibi e bevande o penitenze, osservanza di precetti cultuali e comportamentali.

La fede pagana interpreta anche l’alleanza come un contratto di dare e avere: le buone opere sono quello che il popolo deve dare, il successo negli affari o nelle guerre, l’ingresso nel premio eterno sono quello che Dio è in dovere di procurare.

La fede pagana è decisamente contrastata dai profeti, da Gesù e da Paolo. Si rimprovera alla fede pagana la presunzione di essere in credito con Dio per le buone opere compiute o per le leggi osservate.

La pratica della fede pagana continua –a quanto pare – a essere diffusa in ogni luogo, tempo, cultura. È però una pratica pericolosa: assume la fragilità degli innocenti e in genere il male come una obiezione contro Dio. Infatti se una persona ha fatto il bene o non ha fatto niente di male perché soffre, perché vive nella fragilità, perché sperimenta la malattia, la sofferenza, la morte prematura? Dov’è Dio? Perché non ascolta le preghiere e non tiene conto del bene compiuto?

L’immagine di Dio che ispira la fede pagana è quella di un essere ambiguo che compie scelte arbitrarie e insindacabili: manda il bene e il male a caso. È ingiusto.

  1. La fede cristiana.

L’attitudine iscritta nell’animo umano a fidarsi, a immaginare un “essere superiore” per spiegare il mondo e la storia, il destino e l’esito delle vicende delle persone è stata evangelizzata dalla rivelazione di Gesù. In molte parole e in molte occasioni Gesù ha invitato a credere in lui, e ha assicurato che la fede in lui introduce nella vera vita, la vita eterna (cfr in particolare nel Vangelo di Giovanni: 3,15.16.18.23; 6, 40.47 ecc).

La fede cristiana è l’atteggiamento della persona che non è ispirato dalle sue paure (cfr la fede magica) né motivato dalla sua presunzione (la fede pagana), ma piuttosto fiducioso nelle promesse di Dio. Si potrebbe dire che la fede è dono di Dio, opera di Dio: “Questa è l’opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato (Gv 6,29). La fede cristiana è la possibilità che è data per grazia di entrare in relazione con Dio Padre con l’atteggiamento del Figlio, Gesù: la confidenza senza riserve, l’obbedienza voluta e intelligente.

Non è solo una convinzione, ma una relazione personale, è la grazia di “rimanere in Gesù”.

In questa relazione personale che si chiama fede la condizione concreta dell’uomo è salvata, cioè la persona ha la vita eterna, cioè partecipa della vita di Dio, cioè assume i tratti della vita del Figlio Gesù, cioè diventa dimora dello Spirito Santo, così si compie la volontà di Dio.

La pluralità delle espressioni serve per dire la ricchezza del mistero e serve a suggerire che nessuna espressione è sufficiente a dire la verità di Gesù; anzi c’è il rischio che assumendo solo una formula o solo qualche formula ne venga una immagine distorta della verità.

Così infatti è successo all’espressione “vita eterna” arbitrariamente interpretata in contrapposizione alla vita terrena; così è successo all’espressione “volontà di Dio” fraintesa a indicare “non si muove foglia che Dio non voglia”, quindi immaginando un dio al quale attribuire la responsabilità di tutto quanto capita, contrastando così la rivelazione della volontà di Dio che Gesù ha annunciato.

  1. La considerazione della fragilità nella fede cristiana.

In rapporto alla fede cristiana la fragilità si deve interpretare come situazione enigmatica, di cui non si può attribuire l’origine a Dio, che ha fatto bene ogni cosa, né attribuire la responsabilità, quindi la colpa, esclusivamente alla libertà umana.

La rivelazione di Gesù non formula una spiegazione sistematica dell’origine del male, della condizione penosa dell’umanità, della fragilità.

Piuttosto che rispondere alla domanda dei discepoli: “Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?” (Gv 9,2), Gesù dice che la situazione del cieco è occasione per una manifestazione della volontà di Dio, che non è la cecità, ma la guarigione dalla cecità, segno della grazia della fede: “Né lui ha peccato, né i suoi genitori, ma è perché siano manifestate le opere di Dio” (Gv 9,3).

Si può trovare in Paolo una affermazione che risulta problematica se fraintesa. Paolo scrive infatti: “Noi sappiamo che tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio, per coloro che sono chiamati secondo il suo disegno” (Rm 8,28).

Se uno domanda: “Che cosa fa Dio per i fragili, i poveri, gli infelici?”; “Che cosa vuole da me, il Signore?”, la risposta potrebbe essere: Dio vuole che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità (1Tm 2,4). Dio vuole che noi pratichiamo il comandamento di Gesù e con il dono dello Spirito rende possibile vivere come Gesù. Pertanto Dio “non ha niente a che fare con la causa della fragilità”, piuttosto donando il suo Spirito rende possibile anche a chi è fragile vivere come ha vissuto Gesù, amare come ha amato Gesù, vivere la situazione come occasione adatta per accogliere e vivere la vocazione all’amore.

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Opera don Orione – Università Cattolica del Sacro Cuore
Milano – 2 ottobre 2019