“CREARE PONTI, NON MURI”: IN CAMMINO VERSO NUOVI SERVIZI
Il 16 maggio, in occasione della giornata di festa della nostra Casa di Paverano, la Dott.ssa Tiziana Priolo, Neuropsichiatra infantile e Responsabile Sanitaria del Presidio di Riabilitazione Centro Boggiano Pico, ha tenuto un breve ma ricco intervento per affrontare un argomento molto importante quale la cura delle persone che presentano disturbi del neurosviluppo e che sono prese in carico presso le nostre strutture. Tutto parte da una domanda “Perché dovremmo voler “curare” una persona con disabilità intellettiva o con disturbo dello spettro autistico o con disturbi motori importanti?
Il primo aspetto che dobbiamo considerare, ci spiega la dott.ssa Priolo, è quello di riconoscere a queste persone il diritto alla differenza: di fronte a noi abbiamo sempre in primo luogo persone con le loro caratteristiche, la loro personalità, la loro famiglia e il loro sistema educativo. Possono avere difficoltà specifiche che da noi operatori vengono codificate in manuali diagnostici, ma non possiamo definire una persona sulla base di questa difficoltà. Grazie a questo approccio, infatti, possiamo parlare di neurodiversità ed avere quindi la possibilità di costruire dei ponti con le persone che abbiamo in carico, come diceva lo stesso Don Orione “creare ponti e non muri”, e questo grazie alla conoscenza e la comprensione che ci viene dalla letteratura scientifica, dai familiari, dalla rete sociale e dall’ascolto attento delle voci delle persone. Pertanto è necessario lavorare mediante valutazioni centrate sulla persona e modificare l’ambiente mediante modelli, tecniche e sostegni per renderlo comprensibile e fruibile.
Che cosa dunque possiamo fare di queste differenze negli stili cognitivi e nel funzionamento? Troppo spesso mettiamo l’accento sulle debolezze e non sulle qualità, evidenziando problemi da risolvere e difficoltà da affrontare. Ma non dobbiamo dimenticare la dimensione positiva: le persone con disturbi del neurosviluppo hanno qualità e saperle riconoscere può rendere il mondo più ricco, oltre che la loro vita più appagante. Dobbiamo quindi “pensare al futuro” delle singole persone e porci alcune domande che riguardano la persona che abbiamo di fronte: Chi è, Quali sono i suoi punti di forza e i suoi desideri? Come si sente? Di cosa ha bisogno per essere felice? Partendo da questi quesiti si può pensare allora di individuare un vero e proprio progetto di vita, la cui finalità ultima sia effettivamente la qualità della vita stessa.
L’esperienza evidenzia che le criticità maggiori che ci troviamo ad affrontare insieme alle persone disabili sono nell’ambito delle relazioni sociali: la possibilità di fare scelte autonome, l’opportunità di ottenere uno status sociale soddisfacente sono spesso mete lontane e difficili da realizzare.
È spesso tangibile la presenza, ancora oggi, di un certo livello di stigma che grava sulla persona disabile e la sua famiglia; una diagnosi che viene vissuta come “esclusiva” ma che può essere e che dobbiamo trasformare in inclusiva, che tenga conto delle aree di forza e di debolezza utilissime per indirizzare il trattamento. Lo stigma pertanto deve essere contrastato con la conoscenza, l’educazione e con un’etica che sia nel segno del rispetto e dell’accoglienza delle differenze. Quindi è necessario assicurare una valida rete sanitaria e psicosociale che sappia coinvolgere servizi sanitari ed educativi in un’azione di sostegno allo sviluppo del bambino e dell’adulto e dei soggetti della rete. Inoltre è importante la massima accuratezza della diagnosi dal punto di vista scientifico: fondamentale in questo processo è anche il coinvolgimento della famiglia e la capacità dell’operatore di saper coniugare in questa difficile fase il diritto alla verità con il diritto alla speranza: un equilibrio delicato da mantenere ma da ricercare assiduamente nella nostra quotidianità. Non scontato, inoltre, in ambito abilitativo e di cura progredire nella ricerca verificando in modo scientifico i vari metodi riabilitativi confrontandoli con quelli validati che hanno già ipotesi di efficacia.
Concludendo alla luce di ciò si rende necessario progettare e pensare un trattamento abilitativo costante, sistematico e coerente al fine di creare intorno alla persona e alla sua famiglia una rete di sostegno nutrita da investimenti costanti. Ri-pensando il concetto di salute, intendendola come qualità di vita e in senso più stretto anche come benessere biopsicosociale è necessario accompagnare questo ripensamento con una riflessione e una consapevolezza che parta proprio dall’aggiornare e dal ri-declinare oggi i servizi stessi per la disabilità.
Tiziana Priolo