Dante Alighieri: il suo esame di laurea sulla fede
L’ultimo contributo per concludere il 700° anniversario dell’ascesa al cielo di Dante Alighieri, avvenuta tra il 13 e il 14 settembre del 1321, e per ricordare il Dantedì, la giornata nazionale dedicata al sommo poeta che si celebra il 25 marzo.
Nella “Divina Commedia”, il nostro sommo Poeta immagina di sostenere l’esame di laurea.
Nel canto XXIV del Paradiso emerge la preparazione teologica di Dante, che manifesta un’altissima conoscenza delle sacre scritture, suo retroterra spirituale e culturale. Questo canto si snoda attraverso un dialogo fatto di domande e risposte tra Dante e il “Gran viro a cui nostro Signor lasciò le chiavi” (vv. 34-35), cioè S. Pietro, il primo Papa.
Come i laureandi di oggi, il candidato esprime la propria trepidazione: si fa silenziosa l’aula celeste, ove Egli è emozionato davanti al “sodalizio eletto” (v.1), l’ “accolta” dei Santi Apostoli Giacomo, Giovanni e al suo esaminatore. Il dialogo-interrogazione si apre con la domanda di base, radicale e fondamentale: “Fede, che è?” (v.53). L’esaminando illustre trae la propria risposta dalla Lettera agli Ebrei (11,1): “Fede è sustanza di cose sperate e argomento delle non parventi” (vv.64-65).
Il Santo esaminatore prosegue con le domande chiedendo quali sono i valori della “sustanza” e dell’”argomento”? “Sustanza” è il contenuto della speranza. La realtà della gloria sperata è anticipata e svelata già nella Fede. Quest’ultima è anche argomento, dimostrazione delle realtà sperate, che non sono “parventi” (n.d.r. conoscibili) alla sola ragione: è la traduzione puntuale della versione latina della Vulgata, che Dante possiede.
Su quale base esercitare la ricerca argomentativa della Fede, per avere la rivelazione della realtà delle cose sperate? La risposta di Dante è netta: è la Parola di Dio, presente “in su le vecchie e‘n su le nuove cuoia”, cioè nelle pergamene della Bibbia. L’analisi teologica, “il sillogismo” (v. 94), la logica interna alla Fede, deve svilupparsi al loro interno. A questo livello, la dimostrazione razionale risulta “ottusa” (v.96), cioè spuntata e debole.
A questo punto, però, chi assicura che le Scritture attestino veramente la Parola di Dio, la “divina favella” (v.99)? La risposta di Dante prende spunto dalla tradizione apologetica: la prova della veridicità divina è nelle opere seguite, cioè i miracoli che le costellano, atti che trascendono le leggi della natura.
- Pietro lo marca stretto e prosegue chiedendo chi assicura sull’autenticità storica di questi eventi miracolosi? Il poeta prende spunto dal “De Civitate Dei” di S. Agostino e da S. Tommaso e risponde che è lo straordinario prodigio della conversione dell’intero mondo pagano, che non può essere solo opera evangelizzatrice di uomini, un pugno di persone deboli e marginali, come lo stesso Pietro, “povero” di mezzi economici e “digiuno” di cultura (v.109).
- Pietro, esultante per l’esito positivo dell’esame di laurea, gira tre volte attorno al laureando e lo abbraccia.
Joseph Ratzinger nell’“Introduzione al Cristianesimo”, ci spiega il profilo ideale autentico del Poeta e della sua Fede e ne delinea il ritratto nella commovente conclusione della Divina Commedia, allorché egli, contemplando il mistero di Dio, scorge con estatico rapimento la propria immagine, al centro dell’abbagliante cerchio di fiamme. Dante si riferisce all’incarnazione di Cristo e quella nostra effige è il volto umano di Gesù, contemplato dal nostro viso, cioè dal nostro sguardo.
Dante è un grande e appassionato credente e testimone della Fede cristiana, oltre ad essere cultore della ragione.
Il pensiero medioevale è pervaso dalla filosofia aristotelica al punto che, uno dei padri della scolastica, Tommaso d’Aquino nella “Summa Theologiae” arriva a dimostrare l’esistenza di Dio. Nelle Sue opere si sentono sia gli echi platonici, espressi anche da Alberto Magno, vicini al pensiero agostiniano, sia le venature averroistiche.
Questi concetti danno un carattere eclettico alla filosofia di Dante, che si colloca fermamente nel pensiero dominante del Suo tempo. Tutto questo è confermato nella Commedia, nelle prime due cantiche e nei 32 canti dell’ultima.
Il nostro Poeta cambia passo, in modo diretto, all’inizio del canto, nell’invocazione alla Vergine Maria da parte di Bernardo di Chiaravalle: “Vergine Madre, Figlia del Tuo Figlio”. L’Autore ha posto queste terzine all’inizio del canto finale. Il sigillo non è casuale: è la ragione ultima di tutta l’opera. Qui la logica umana perde la propria capacità di interpretare gli eventi che Dante vive fino in fondo: egli disarticola il pensiero razionale, incapace di portarci nell’eterno, nella logica divina dell’“Amor che move il sole e l’altre stelle” (vv. 145 del canto XXXIII del Paradiso), la conclusione dell’intera Commedia. Dante si trova nell’Empireo, un cielo infinito colmo di luce e di amore.
Tullio Fognani
Amico del Piccolo Cottolengo Genovese