Davanti alla sofferenza
Quando viviamo nella sofferenza ci sentiamo esclusi dalla vita del modno e dalle relazioni che, prima, parevano in mano nostra. Ci chiudiamo agli altri ed in noi, isolandoci, anche se dentro l’anima c’è lotta fra chi vorrebbe inabissarsi in questo limbo di silenzio e chi, invece, amerebbe urlare al mondo la propria sofferenza. Risultiamo lacerati.
Davanti alla sofferenza tutto sembra crollare, le certezze disertano la nostra coscienza. Siamo smarriti in selve oscure dove non percepiamo chi potrebbe aiutarci, talvolta ritenendolo fastidioso con le sue inutili spiegazioni sulla sofferenza: parole senza equilibio che non ci interessano.
“Dio ci mette alla prova: è un segno della sua predilezione per te”. Talvolta lo sento dire e, come prete, mi infastidisce perché non è il Dio in cui credo. Dio non ci fa ammalare per metterci alla prova, ma cerca di consolarci nella sofferenza. Dio non è un padre che schiaccia i suoi figli in un angolo facendoli soffocare. La predilezione di Dio non cancella il gusto della vita, perché Lui è venuto a darcela in abbondanza. Leggete, se potete, l’Evangelium Vitae dove San Giovanni Paolo II ribadisce ciò con forza.
Altro discorso che lede la dignità del malato è considerarlo felice di soffrire perché le sue sofferenze redimono e salvano il mondo. Di fatto però essa provoca solitudine, deprime, spezza le energie residue e con il suo peso può schiacciare chi mi è accanto: in sostanza disumanizza! Già per molti è difficile dare un senso alla sofferenza quando ci sono in mezzo; imbattersi in certi discorsi non aiuta infine la riconquista di sé che ogni malato si sforza di vivere dentro la prova.
Ciò che ci salva è quanto riusciamo ad edificare ogni giorno in noi e negli altri, per amore ed in libertà, malgrado le sofferenze. Per i credenti e le persone di fede, quando soffriamo, è decisivo vedere come nostro Signore ha vissuto la propria sofferenza. Gesù ci salva con l’intera sua vita intessuta d’amore compassionevole nei confronti di ogni genere umano, di speranza e di fede predicata nella comunione con il Padre e di fiducia negli uomini. Ciò che redime, nel Figlio del Padre, è la sofferenza finale che, da uomo, ha vissuto in pienezza l’amore, la fede e la speranza. Solo ciò che costruisce e libera l’essere umano, redime. La sofferenza redime quando chi soffre cerca di umanizzare la propria vita dentro le sue sofferenze nel cammino di comunione con Dio che trova la sua gioia nel ricevere ciò che costruisce l’uomo e nell’accogliere ciò che l’amore di Gesù permette di edificare all’essere umano malgrado la sofferenza. Dio ama ricevere la fede, la speranza, l’amore, l’umiltà, la pazienza al cuore delle nostre sofferenze. Ciò che costituisce l’essere umano permette alla persona che soffre di continuare ad entrare in relazione e l’amore che Dio vive per noi, crede, spsera e ci ama. Ciò che libera un credente è riconoscere nello star male il dono che Dio fa di sé in noi.
La fede ci dà forza perché Dio è dalla mia parte, al mio fianco; ciò ci incoraggia a dar senso alla mia vita, mi fa compiere un vero e proprio lavoro interiore e con gli altri. Dobbiamo cercare di abbandonare un certo modo di essere in una vita completamente sconvolta dalla sofferenza per trovare un poco alla volta un altro modo di assumere il reale.
È importante rivolgersi a Dio perché ci dispieghi la sua forza sulle nostre debolezze e nella malattia per condurre la buona battaglia. Importante diventa vedre in cosa Gesù ha sofferto e come ha vissuto la sua sofferenza per sapere come Dio si comporta con chi soffre, come Dio stesso ha vissuto nella sua umanità la sofferenza mia o altrui
don ivan concolato