Don Delfino Sonaglia a 25 anni dalla morte
Faceva parte di un consistente gruppo di preti marchigiani tutti degli anni 20 del secolo scorso; un gruppo che negli anni 60 – 70 ha governato la Provincia di San Benedetto, quella che faceva capo a Genova. Basti ricordare Don Carlo Matricardi, Don Guerrino Petrellli, Don Ruggeri Attilio, Don Mario Gatti, Don Eliseo Canini; tanti altri ebbero un ruolo importante ma non di primo piano.
Don Delfino Sonaglia (da ora in poi dirò sempre “Don Sonaglia” perché era conosciuto per il cognome) spiccava per le sue doti organizzative all’interno delle case di carità. Il suo impegno fu profuso tra le case di Genova e di Sanremo, prima tra i giovani lavoratori, poi tra gli anziani ricoverati e i portatori di handicap.
Erano tempi in cui le convenzioni non erano ancora state inventate e per le rette di degenza ci si arrangiava come si poteva: pensioni, contributi, qualche retta e tanta Provvidenza. L’attenzione era posta perciò soprattutto verso i benefattori ai quali Don Orione si rivolgeva con questa frase: “Voi siete la banca della Piccola Opera della Divina Provvidenza”.
Negli anni 60 i dipendenti laici, all’interno delle nostre case di carità, si contavano sulle dita di una mano e il motivo principale dipendeva dal fatto che non c’erano soldi per pagarli. L’assistenza però era molto meno esigente.
Don Sonaglia in questo mondo si trovava perfettamente a suo agio e nonostante ciò i problemi di lavoro erano tanti che alla fine della giornata i religiosi erano sopraffatti dalla stanchezza. “Carosello” era anche per loro l’ultimo messaggio del giorno.
Don Sonaglia aveva richiesto per sé, per difendersi dallo stress del lavoro e della tensione (la domanda più ricorrente che gli frullava in testa era: dove trovo i soldi per pagare i creditori?) di avere un pomeriggio libero o al sabato o alla domenica. E fu proprio al termine di uno di quei pomeriggi che si svolse il fatto che ora vado a raccontare e che ebbe il suo epilogo il giorno successivo.
L’episodio, che ben rappresenta Don Sonaglia, si svolse nell’entroterra sanremese a metà degli anni 70.
Era un lunedì mattina, verso le 10, e Don Sonaglia si ferma ad un distributore di benzina all’inizio di un paesino. Scende dalla sua 600 color beige, attende che il benzinaio esca dalla sua officina e con la sua voce baritonale e stentorea gli ordina: “Il pieno”. Era costui un ometto sulla settantina, magro e segnato da tante fatiche. Mentre dal bocchettone la benzina entrava lentamente nel serbatoio con nel sottofondo il rumore stridulo della pompa, Don Sonaglia tenta una conversazione d’ occasione: “Come va?”. Al che il benzinaio, che pareva non attendesse altro: “Non mi dica niente padre – e qui fece una pausa come per far quietare le emozioni – una delinquenza!”. Disse quest’ultima frase calcando le vocali tanto che la voce divenne più acuta.
“Perché, cos’è successo?” chiese meravigliato Don Sonaglia. “Ah padre, è un mondo che non ha più rispetto di niente” continuò il benzinaio, “una delinquenza. Vede quella 600 laggiù?” E indicò una macchina parcheggiata lì vicino dello stesso colore di quella di Don Sonaglia. “Vede che gli manca una ruota?”. “Vedo” disse Don Sonaglia, “vedo che gli manca una ruota e che vi sono due mattoni che la tengono sollevata”. “Quella macchina – continuò il benzinaio – la uso per portare le bombole del gas a qualche famiglia che abita in campagna. Vede che gli manca anche il seggiolino davanti, quello del passeggero? L’ho tolto così mi è più facile accomodare la bombola. Questa notte qualcuno è passato e mi ha rubato una ruota. E non è finita: ha messo anche un biglietto sotto il tergicristallo con su scritto: gliela riporto domani! Non si è solo accontentato della ruota, mi ha anche voluto prendere in giro”.
Nel frattempo il serbatoio si era riempito e il benzinaio aveva riappeso la pistola alla colonnina. Don Sonaglia guarda la cifra risultante dal correre automatico dei numeri, estrae il portafoglio e paga. Poi resta un poco assorto e guardando il benzinaio gli dice: “E se quel delinquente fossi io?”. “Lei padre? Non ci posso credere”, replicò il vecchietto. “Vede” – riprese Don Sonaglia – “ieri sera sul tardi tornavo verso casa dopo aver cenato in una trattoria qui vicino. Ad un certo punto ho sentito che la macchina tirava da una parte. Sono sceso a controllare e ho constatato che si era bucata una gomma. Ho guardato nel bagagliaio e purtroppo la ruota di scorta non c’era. Ormai era tardi e non sapevo cosa fare. Ho attraversato il paese sperando di incontrare qualche persona quando la mia attenzione è caduta su quella 600 parcheggiata là, uguale alla mia. Ormai era tardi e piuttosto che disturbare qualcuno ho pensato di arrangiarmi togliendole una ruota per sostituire la mia bucata”.
Detto questo aprì il bagagliaio e riconsegnò la ruota all’esterrefatto benzinaio. Poi dallo stesso bagagliaio estrasse anche un cartone con dentro alcune bottiglie e rivolto al vecchietto rimasto a bocca aperta per la meraviglia: “E queste sono per lei, per il disturbo. E’ di quello buono. Lo beva in compagnia alla mia salute”. Quello prese le bottiglie e non riuscì a pronunciare parola. Rimase così con il cartone in mano mentre l’auto accelerando si allontanava.
Questi nostri preti, pur con tutti i loro difetti, hanno scritto la storia del Piccolo Cottolengo e della nostra congregazione. È cosa buona ricordarli e rinnovare in altre forme quella semplicità che li rendeva così vicini e così graditi alla gente.
Don Fulvio