Fari di Fede e di Civiltà: Il Piccolo Cottolengo sarà un gigantesco faro…
FARI DI FEDE E DI CIVILTà “Il Piccolo Cottolengo sarà un gigantesco faro, che espanderà la sua luce e il suo calore di carità spirituale e corporale oltre Genova e oltre l’Italia”
Don Paolo Clerici, studioso orionino, ci aiuterà, attraverso questo contributo, ad approfondire il valore carismatico. L’espressione “Fari di Fede e Civiltà” non è rintracciabile negli scritti di Don Orione ma si esprime attraverso le diverse opere che hanno come primo obiettivo quello di prendersi cura dei poveri, dei bisognosi, ed offrire loro una casa, un affetto ed una famiglia; inoltre molto spesso il nostro Santo Fondatore, manifesta l’importanza di “educare” la società al valore della vita debole ed emarginata.
Nel progetto salvifico di Dio s’innesta il programma di Don Orione, “l’apostolo della carità”, e della Piccola Opera della Divina Provvidenza da lui fondata per “Instaurare omnia in Christo”, unendo il popolo alla Chiesa e al Papa, con il linguaggio più efficace che è quello della carità. “La causa di Dio e della sua Chiesa non si serve che con una grande carità di vita e di opere. Non penetreremo le coscienze, non convertiremo la gioventù, non i popoli trarremo alla Chiesa, senza una grande carità, e un vero sacrificio di noi… V’è una corruzione, nella società, spaventosa; v’è un’ignoranza di Dio spaventosa, v’è un materialismo, un odio spaventoso; solo la carità potrà ancora condurre a Dio i cuori e le popolazioni, e salvarle”[1].
Questa carità si esprime attraverso le diverse opere che hanno come primo obiettivo quello di prendersi cura dei poveri, dei bisognosi, ed offrire loro una casa, un affetto, una famiglia. Tuttavia era presente nel pensiero di Don Orione anche l’obiettivo di “educare” la società al valore della vita debole ed emarginata.
Per Don Orione le opere di carità devono essere evangelizzatrici ossia “fari di fede” perché sono il mezzo attraverso il quale si rende visibile l’amore di Dio “nel più misero degli uomini brilla l’immagine di Dio” e contemporaneamente “fari di civiltà” perché rendono più umana la società quando si promuove la cura dei soggetti deboli.
Nell’attività di Don Orione è molto chiara la relazione profonda tra la sua fede e l’attività caritativa. Vive in pienezza l’insegnamento degli Apostoli che invitano a manifestare la fede nella carità “che giova fratelli miei – afferma S. Giacomo -, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere?” (Gc 2, 14), così S. Paolo nella lettera ai Galati “la fede che opera per mezzo della carità” (Gal 5, 6).
Le opere di carità volute da don Orione – specialmente i suoi Piccoli Cottolengo – devono essere “fari di fede” per la funzione evangelizzatrice della carità, “fari di civiltà” per la promozione umana e civile alla vita debole. “L’aiuto alla vita debole è educazione alla civiltà dell’amore”.
L’espressione “fari di fede e di civiltà” è stata diffusa nel Convegno internazionale di Studi Orionini tenutosi a Genova dal 20 al 22 giugno 2008 e successivamente rilanciata al congresso sulle opere di carità svoltosi in Polonia dal 14 al 20 giugno 2009. Bisogna precisare che l’espressione non è rintracciabile negli scritti di Don Orione ma ne troviamo molte altre che rivelano lo stesso significato.
Don Orione il 4 gennaio 1926 scrive a Don Adaglio, direttore del Piccolo Cottolengo di Genova: “Molto più che “la lanterna” che si erge sugli scogli! Il Piccolo Cottolengo sarà un gigantesco faro, che espanderà la sua luce e il suo calore di carità spirituale e corporale oltre Genova e oltre l’Italia”[2].
Sempre allo stesso Don Adaglio che si trova in Palestina scrive: “Bisogna che ad ogni nostro passo si crei un’opera di fraternità, di umanità, di umanità purissima, degna dei figli della Chiesa, nata e scaturita dal Cuore di Gesù; si richiedono opere di cuore e carità cristiana. E tutti ci crederanno! La carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d’amore verso Dio! Gesù è venuto nella carità, non con l’eloquenza, non con la forza, non con la potenza, non con il genio, ma con il cuore: con carità: sono la migliore apologia della fede cattolica”[3].
“Ci sono tanti che non sanno capire le opere di culto, quindi dobbiamo aggiungere opere di carità”[4].
Il 3 luglio 1935 così scrive a Don Carlo Sterpi: “Avellaneda è il più grande centro industriale e commerciale dell’Argentina, sono quasi tutte fabbriche e, quindi, è il più grande centro di lavoratori; la maggior parte socialisti… Noi siamo proprio nel mezzo. Non sapete quanto sono felice che la Divina Provvidenza mi abbia portato ad aprire una casa di carità e di rinnovamento sociale cristiano nel cuore del socialismo e comunismo argentino”[5].
“Dobbiamo essere santi, ma santificarci in modo tale che la nostra santità non appartenga solo al culto dei fedeli, né sia solo nella Chiesa, ma anzi trascenda e porti alla società tale splendore di luce, tale vita d’amore da parte di Dio e degli uomini che siamo più che i santi della Chiesa i santi del popolo e della salute sociale. […] Dobbiamo essere una vena profondissima di spiritualità mistica che invada tutti gli strati sociali: spirti contemplativi e attivi “servi di Cristo e dei poveri”[6].
Il 21 novembre 1917 scrive al suo Vescovo Igino Bandi: “Dobbiamo dare alla carità una missione sociale, rendendo migliori i poveri, come credenti e come cittadini”[7].
“Mi sembra che la carità, anche la più umile e modesta, sia la forza più popolare nella difesa della verità cattolica; si dimostra così che la Chiesa è viva, anche in campo sociale, ed è anche molto feconda come forza benefica”[8].
“Oggi molti ritornano a Dio attraverso le istituzioni di beneficenza, di carità e di promozione sociale; questi si conquistano alla fede con le opere di bontà e dell’autentico progresso”[9].
Cristianamente è inammissibile una fede senza la carità, è pure inammissibile una carità che non riveli la fede perché: “Amore a Dio e amore al prossimo sono due fiamme di uno stesso e sacro fuoco”.
Don Orione, con l’apostolato della carità, si propone di “dare col pane del corpo, il divino balsamo della fede”[10]. “Faticare e sacrificarsi con ogni opera di misericordia spirituale e corporale a spargere e a crescere l’amore di Dio e del Papa, specialmente nel cuore dei piccoli e dei poveri e degli afflitti dai diversi mali e dolori: è l’opera più grande che possiamo fare su questa terra a gloria del Signore, ed è il fine del nostro povero Istituto della Provvidenza. Instaurare omnia in Christo: per grazia di Dio, tutto instaurare nella dottrina e nella carità di Gesù Cristo crocifisso, con l’attuazione del programma papale”[11]. Il dolore, le miserie, le sofferenze sanate, consolate, amate sono segno che manifesta la presenza provvidenziale di Dio, che ha “creato l’uomo per la vita”. Questo è il modo con cui Gesù con la sua missione ha rivelato il Padre: “Andate e riferite a Giovanni ciò che voi udite e vedete: i ciechi ricuperano la vista, gli storpi camminano, i lebbrosi sono guariti, i sordi riacquistano l’udito, i morti risuscitano, ai poveri è predicata la buona novella” (Mt 11,4-5).
Don Orione ha seguito l’esempio di Gesù, ha evangelizzato mediante atteggiamenti ed azioni di carità verso i piccoli, i poveri, gli ultimi, scoprendo nei volti sfigurati dei fratelli l’immagine viva del Figlio di Dio. Questi si rivela nella storia, una storia lacerata dalle guerre, dalle ingiustizie sociali che lui si sente inviato come apostolo di Dio, per alleviare il dolore di molti fratelli: “Noi viviamo in un secolo che è pieno di gelo e di morte nella vita dello spirito. Tutto chiuso in sé stesso, nulla vede che piaceri, vanità e passioni e la vita di questa terra, e non più. Chi darà vita a questa generazione morta alla vita di Dio, se non il soffio della carità di Gesù Cristo? La faccia della terra si rinnovellerà al calore della primavera; ma il mondo morale solo avrà vita novella dal calore della carità”[12].
Ascoltiamo alcuni pensieri di Don Orione sul valore evangelizzatore della carità.
“Apriamo a molte genti un mondo nuovo e divino; pieghiamoci con caritatevole dolcezza alla comprensione dei piccoli, dei poveri, degli umili”[13].
“Il popolo vuole vedere la realtà. Non è quindi solamente il prete con la stola al collo che può fare del bene, ma anche il prete che lavora”[14].
“Cercare e medicare le piaghe del popolo, cercarne le infermità: andargli incontro nel morale e nel materiale. In questo modo la nostra azione sarà non solamente efficace, ma profondamente cristiana e salvatrice. Cristo andò al popolo. Sollevare il popolo, mitigare i dolori, risanarlo. Deve starci a cuore il popolo. L’Opera della Divina Provvidenza è del popolo. Evitate le parole: di parolai ne abbiamo piene le tasche”[15].
Don Orione, per far capire il dinamismo proprio della carità che nel servizio diventa annuncio di fede, raccontò il fatto della conversione di una anziana donna ospite al Piccolo Cottolengo di Claypole, la quale spiegò: “come posso non credere alla fede e alla religione della Suora che dorme per terra vicino al mio letto e che si leva 20-30 volte ogni notte per darmi da bere e per servirmi…più che fosse mia figlia? (…) Vedete? – concludeva Don Orione -, quella donna è stata spinta alla fede dalla carità sovrumana della suora”[16].
Con semplicità si rivolgeva ai suoi religiosi: “Siamo in tempi in cui se vedono il prete solo con la stola non tutti ci vengono dietro, ma se invece vedono attorno alla veste del prete i vecchi e gli orfani allora si trascina… la carità trascina…La carità muove e porta alla fede e alla speranza. Tanti non sanno capire l’opera di culto e allora bisognerà unire l’opera di carità”[17].
Salvatore Sommariva (che don Orione definì “uno spregiudicato, che non può vedere né vuole sapere niente di religione”[18]) “mi ha detto: non credevo in Dio, ma ora ci credo perché l’ho visto alle porte del Cottolengo”[19]. Ciò corrisponde a quanto affermava Sant’Agostino: “Se vedi la carità, vedi la Trinità”, verità ricordata anche da Benedetto XVI in Deus caritas est[20].
A Don Adaglio, dava direttive per l’avvio della Piccola Opera in Palestina: “Se si vuole mantenere cattolico un paese o renderlo cattolico, la via più breve e più sicura è di prendere la cura degli orfani e della gioventù povera e creare opere, opere, opere di carità. Bisogna che su ogni nostro passo si crei e fiorisca un’opera di fraternità, di umanità, di carità purissima e santissima, degna di figli della Chiesa nata e sgorgata dal Cuore di Gesù: opere di cuore e di carità cristiana ci vogliono. E tutti vi crederanno! La carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori d’amore verso Dio”[21].
Don Ignazio Terzi – quarto successore di Don Orione – ha raccontato che ancora laico ha partecipato con un gruppetto di giovani universitari l’11-13 novembre 1939 ad un ritiro minimo a Villa Solari a Genova. A conclusione dell’incontro Don Orione volle condurre i partecipanti a visitare rapidamente le sue istituzioni. Dopo aver incontrato degli amici venuti al Paverano a visitare gli ospiti, si rivolse ai giovani facendo questo commento: “Vedete. Il Piccolo Cottolengo l’ho istituito più che per i poveri, per questi visitatori che, solo attraverso la testimonianza della carità, riescono a raggiungere Dio di cui sono bisognosi”[22].
“Il servizio alla vita debole e fragile” mediante le istituzioni e le opere di carità sono un autentico ricostituente civile perché consolidano quei valori umanizzanti.
Benedetto XVI pone un criterio per valutare maturità o debolezza di una società in Spe salvi 38: “La misura dell’umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e con il sofferente. Questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana”.
È l’amore di Dio che ci spinge ad amare la vita, a promuoverla con un servizio responsabile, a difenderla con speranza, ad annunciarne il valore ed il senso, specialmente ai più deboli, indifesi ed emarginati.
La Chiesa ha ricevuto il vangelo della vita ed è mandata ad annunciarlo ed a farlo divenire realtà. Tale vocazione e missione richiede l’azione generosa di tutti i suoi membri, anche della famiglia orionina. “Tutti insieme sentiamo il dovere di annunciare il Vangelo della vita, di celebrarlo nella liturgia e nell’intera esistenza, di servirlo con le diverse iniziative e strutture di sostegno e di promozione umana”[23]. Di fronte a tante solenni proclamazioni a favore della vita, che coesistono accanto a profondi atteggiamenti anti-vita,[24] il nostro servizio deve testimoniare e annunciarne il valore, impegnarsi a difenderla ed a promuovere un’autentica cultura della vita.
Preziosa e degna di rispetto è ogni vita umana. Ne consegue che si giustifica non solo la vita sana, utile, felice, ma anche la vita sminuita, la vita nel dolore e nella malattia, quella del bambino non ancora nato e quella dell’anziano invalido. Non solo è preziosa la vita dei potenti; lo è anche la vita dei poveri, degli abbandonati, dei deboli. Come figli di Don Orione ci sentiamo particolarmente chiamati a proteggere e prenderci cura della vita debole. Ma c’è una sfida da vincere. Don Orione la riassumeva così: “dobbiamo passare dalle opere di carità alla carità delle opere”[25]. Il discorso è molto chiaro: la qualità della “carità” equivale alla qualità di “umanità” che riusciamo ad immettere nelle istituzioni caritative. Solo a questa condizione le nostre opere di aiuto alla vita possono essere “fari di fede e di civiltà”.
Chi conosce Don Orione, la sua ampia visione, il suo senso del popolo e della società, sa che intendeva le opere di carità come uno strumento più che uno scopo, un veicolo più che un traguardo. Le concepiva come opere “fermento”, opere “sale” nella società, opere che parlano della Provvidenza di Dio e fanno lievitare di umanità il vivere civile, i costumi, la cultura.
Un’opera di carità non è da Don Orione concepita e modellata solo in funzione dei suoi ospiti, ma guarda alla città. “Il Piccolo Cottolengo di Genova – annunciava – diventerà la cittadella spirituale di Genova. Altro che la lanterna che sta sullo scoglio! Il Piccolo Cottolengo sarà un faro gigantesco che spanderà la sua luce e il suo calore di carità spirituale anche oltre Genova e oltre l’Italia”[26]. Sempre parlando del Piccolo Cottolengo di Genova, destinato ai disabili gravi mentali e psichici, scrive: “Io vorrei fare di Paverano un Istituto di cui la Provincia e Genova abbiano sempre più ad onorarsi: carità e scienza!”[27].
Ma questo sarà possibile se al Piccolo Cottolengo come in ogni altra opera di carità al servizio della vita debole ci sarà al suo interno luce, cioè qualità di vita, fede, amore fraterno, vita bella, ma anche se avrà dinamiche di relazione con la città, con persone e luoghi che costituiscono il tessuto civile di cui l’opera è parte ed a cui in ultimo è destinata.
Don Orione ci ricorda: “Non basta volere fare del bene e molto, ma bisogna farlo bene, per meritare e salvarci”[28] ma oggi, oltre a fare il bene, è necessario trovare il linguaggio e i modi concreti per raccontarlo al mondo, con rispetto, mettendo al centro il povero[29]e l’esperienza di vita nuova e di nuova civiltà che si sviluppa quando è costruita a partire dai più deboli e dalla legge fondamentale del servizio e dell’amore. In un certo senso, non è carità vera quella che non viene capita né spiegata all’uomo d’oggi. Se l’opera non è anche notizia, “buona novella”, esperienza e annuncio di civiltà più giusta e più umana – “faro di civiltà”, per dirla con Don Orione – mancherebbe di raggiungere pienamente il suo scopo di “ricostituente sociale”, di energetico alla nostra società spesso debole.
È la dinamica che Gesù ha annunciato quando ha detto: “Non si accende una lucerna per metterla sotto il moggio ma sopra il lucerniere perché faccia luce a tutti quelli che sono nella casa. Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5, 15-16).
CONCLUSIONE
A conclusione rileggiamo alcune illuminanti parole di Don Orione:
“Noi non facciamo politica: la nostra politica è la carità grande e divina, che fa del bene a tutti. Noi non guardiamo ad altro che alle anime da salvare. Se una preferenza la dovremo fare, la faremo a quelli che ci sembrerebbero più bisognosi di Dio, poiché Gesù è venuto più per i peccatori che per i giusti. Anime e anime! Ecco tutta la nostra vita; ecco il nostro grido, il nostro programma, tutta la nostra anima, tutto il nostro cuore: Anime, anime! Ma, per meglio riuscire a salvare le anime, bisogna sapere adottare certi metodi e non fossilizzarci nelle forme, se le forme non piacciono più, se diventano, o sono diventate, antiquate e fuori uso… Anche quelle forme, quelle usanze, che a noi possono sembrare un po’ laiche, rispettiamole e adottiamole, occorrendo, senza scrupoli, senza piccolezze di testa: salvare la sostanza, bisogna! Questo è il tutto”.
Nel contesto sociale e culturale contemporaneo, le opere di carità al servizio della vita debole devono essere “fari di fede e di civiltà” solo così saranno, come voleva Don Orione, “un lievito, una pacifica forza cristiana di rinnovamento”[30] della Chiesa e della società civile.
Don Paolo Clerici
[1] Lettere I, pp. 181-182.
[2] Scritti 5, 241.
[3] Scritti 4, 279-280.
[4] Riunioni p.95.
[5] Scritti 118, 114.
[6] Scritti 57, 104.
[7] Scritti 64, 26.
[8] Scritti 94, 202.
[9] Scritti 97, 154.
[10] Lettere II, 643.
[11] Scritti 57, 107 e 70, 2.
[12] Spirito di Don Orione, 7, p. 99.
[13] Appunti del gennaio 1939; Questo passo è stato commentato da Padre Pio Mogni in “Messaggi di Don Orione”, n. 21, 1974, pp. 32.
[14] Parola V, 368.
[15] Scritti 61, 114.
[16] Parola VIII, 195-196.
[17] Riunioni 95; Scritti 100, 195.
[18] Parola IX, 425.
[19] Riunioni 130. Poi divenne un generoso benefattore del Piccolo Cottolengo di Genova
[20] Deus caritas est 19.
[21] Scritti 4, 280.
[22] M. Macciò, Don Luigi Orione- i genovesi raccontano-, Presentazione di Don Ignazio Terzi, Quaderni del chiostro 1998,n. 16 p. 6.
[23] Evangelium vitae 79.
[24] L’enciclica Evangelium vitae al n.3 richiama l’attenzione su “l’impressionante moltiplicarsi ed acutizzarsi delle minacce alla vita delle persone e dei popoli, soprattutto quando essa è debole e indifesa. Alle antiche dolorose piaghe della miseria, della fame, delle malattie endemiche, della violenza e delle guerre, se ne aggiungono altre, dalle modalità inedite e dalle dimensioni inquietanti”.
[25] Scritti 39, 80.
[26] Lettere I 53, 7.
[27] Scritti 47, 245.
[28] Scritti 32,123.
[29] Cfr. Progetto Orionino per le Opere di carità, p. 33.
[30] Scritti 62, 92.