Il dire rimane ambiguo, solo il fare è decisivo
Un pensatore famoso, sociologo e filosofo, scomparso di recente, parlando della attuale società moderna in un suo scritto, l’ha definita “liquida”. Una definizione che ha fatto colpo, che si è imposta rendendo famoso l’autore e di fatto ormai passata nel linguaggio comune.
Credo però che una certa liquidità, intesa come incertezza d’animo, mancanza di punti di riferimento sicuri soprattutto in campo morale, che può sfociare facilmente in un consumismo sconsiderato come compensazione di benessere e felicità immediata a basso costo, oppure nel presunto diritto inalienabile di poter cambiare repentinamente opinione sui più svariati argomenti, faccia parte dell’animo umano da sempre, appartenga alla sua essenza. Nel bene e nel male. C’è chi giudica questo un fatto positivo e chi invece negativo. Ne abbiamo avuto la prova anche nelle ultime estenuanti trattative per formare un nuovo governo in Italia.
Spontaneamente mi viene in mente una pagina evangelica, visto che di materia religiosa dobbiamo trattare e non di faccende sociologiche o politiche, che avrebbero bisogno di altre considerazioni, qui fuori luogo.
Scrive l’evangelista Matteo: Disse loro Gesù: «Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si rivolse al primo e disse: «Figlio, oggi va’ a lavorare nella vigna». Ed egli rispose: «Non ne ho voglia». Ma poi si pentì e vi andò. Si rivolse al secondo e disse lo stesso. Ed egli rispose: «Sì, signore». Ma non vi andò. Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo».
La non corrispondenza tra il dire e il fare, comune a entrambi i figli, viene risolta come sempre fa il vangelo, dalla parte del fare. Il dire rimane ambiguo, solo il fare è decisivo.
Così è anche nella nostra vita soprattutto nel rapporto con gli altri: sono i fatti che contano non le belle parole.
Ma il Vangelo dice anche un’altra cosa, ancora più importante. La salvezza, dice, non è data solo da una piena corrispondenza tra il dire e il fare, chi può essere perfetto in questo senso? Nessuno di noi, come nessuno dei due figli, neanche i santi proclamati tali. Tutti avevano i loro difetti.
Per fortuna però la salvezza non è data esclusivamente da questa piena conformità tra il dire e il fare, ma è data, al contrario, dalla capacità di ricredersi, dal coraggio di cambiare. Cioè quel che conta è il pentimento che deve giungere per lo meno alla fine. E’ la conversione che decide la salvezza.
Non si tratta di essere perfetti, ma di saper riconoscere umilmente i propri errori, e darsi da fare per migliorare. Ma io sono fatto così e mi dovete accettare così. Questo è vero nei limiti, perché potrebbe denotare anche attaccamento al male e una non volontà di cambiare.
Facciamo un passo indietro: con chi ce l’ha Gesù? Disse ai capi dei Farisei e agli anziani del popolo, cioè sta parlando alle guide morali del popolo. Ricorda loro il rifiuto che hanno sempre opposto alla Parola di Dio per mezzo dei profeti che li invitava a cambiare, il rifiuto alla predicazione di Giovanni Battista, il rifiuto soprattutto a lui, il Messia figlio di Dio. Con quale autorità fai questo o dici tali cose? E così gli stavano sempre addosso manifestando la loro ostilità.
Ricordiamo per esempio l’episodio della cacciata dei venditori dal tempio: invece di una casa di preghiera ne avete fatto una spelonca di ladri, apostrofò Gesù i responsabili della religione e del culto. E per loro saranno anche le parabole successive: quella dei vignaioli omicidi che uccidono anche il figlio del padrone, e quella del rifiuto a partecipare alla festa di nozze del figlio del Re.
Allora provocatoriamente dice loro che i pubblicani e le prostitute prenderanno il loro posto nel regno dei cieli, perché riconoscendosi peccatori ad un certo punto si sono pentiti e alla parola di Gesù hanno cambiato vita. Gli ultimi davvero diventano primi.
Adesso però siamo in causa noi, la storia si ripete sempre. Come per i capi d’Israele, nessuno può vivere di rendita, non ci sono diritti acquisiti una volta per sempre. Come purtroppo è possibile passare dal sì al no, è possibile per fortuna passare anche dal no al sì. Dipende da noi, dalla nostra volontà. La responsabilità è sempre personale. La società e l’ambiente esterno possono certo favorire o ostacolare le nostre decisioni, ma ci rimane sempre quel minimo di libertà che fa sì che alla fine la responsabilità sia solo nostra.
La piena coerenza non è di questo mondo, quanti errori e fallimenti nelle persone, nella società, all’interno della chiesa. Non ci scandalizziamo per questo. Il vangelo però rimane lì davanti a tutti con le sue esigenze.
C’è però una caratteristica di questi nostri tempi che ci differenzia dal passato, ed è il tentativo di giustificare il male, di pretendere che non ci sia un bene e un male. Ci si vuol convincere che non c’è una verità ma delle semplici opinioni, e quindi non devono esistere neanche delle leggi dello stato o della religione che obblighino in un senso o nell’altro. Ecco la realtà e la verità di una società liquida oggi, sono anche questi fatti che lo dimostrano.
Questo vale anche per il vangelo e per l’interpretazione ufficiale che ne fa la chiesa di fronte alle grandi sfide della nostra società in campo etico e sociale, sulla dignità della persona e della vita umana, sul matrimonio, la famiglia.
Ripeto una conclusione per noi. La fede sappiamo può essere vissuta a livelli diversi come d’altronde è per tutte le altre esperienze umane. C’è sempre chi è più bravo e chi lo è meno. Vuol dire che anche i credenti hanno sempre bisogno di conversione, di integrare sempre più fede e vita.
E’ sempre necessario essere flessibili e avere la disponibilità a cambiare e rivedere le proprie posizioni. Il vangelo è sempre lì davanti a tutti noi, e ci chiama sempre a passare il più possibile dai nostri no a un sì pieno, generoso e deciso.
E anche la delusione per tentativi passati non riusciti o per propositi non mantenuti non può essere motivo per non credere più nel futuro, per non provarci più.
C’è sempre uno spazio per la propria conversione, sia pure alla fine.
d.g.m