Il tempo del covid nella nostra fede

Da buon internauta, nel cercare cose utili sul computer, il mio occhio è caduto su un articolo comparso su Cristiani Oggi, un sito delle Chiese Evangeliche Cristiane ADI. Il titolo era emblematico: «Fede ai tempi del Corona Virus 19»[1]. In questo articolo si mettevano in evidenza pensieri, nati su un’errata interpretazione del testo Biblico, che possono farci vivere male o sbagliato il nostro rapporto con Dio in questo tempo particolare.

Ecco in sintesi i punti toccati dall’articolo:

  1. Io sono figlio di Dio, non posso ammalarmi: il pensare che nessun male colpirà il credente è un pensiero errato.
  2. Io ho fede, non mi servono le precauzioni: il Signore stesso ci insegna ad avere cura del nostro corpo.
  3. Bisogna rispettare la Bibbia, abbasso il governo: la Bibbia al contrario ci insegna di rispettare l’autorità.
  4. Apocalisse 1-2: nessuno cataloghi fenomeni come il Coronavirus come castighi di Dio.

 

In realtà ognuno ha l’occasione per essere testimonianza e per rispondere a chiunque ci interroghi sulla nostra Fede (prima lettera di Pietro 3:15). E non possono essere le contingenze temporanee, che siano tragiche o felici, a determinare la vitalità della nostra Fede; ma solo “chi avrà perseverato sino alla fine, sarà salvato” (Vangelo di Matteo 24:13). In circostanze come quella presente il nostro comportamento e gli atteggiamenti sono lo specchio della nostra Fede davanti ai nostri familiari, colleghi, amici e conoscenti. Preghiamo di essere sempre una luce affinché “vedano le vostre opere buone e glorifichino il Padre vostro che è nei cieli” (Vangelo di Matteo 5:16).

Dopo avere letto ciò, mi sono chiesto: “Noi come viviamo o abbiamo vissuto la nostra Fede nel Piccolo Cottolengo Genovese?” Perché anche noi possiamo aver pensato: “Perché Dio tace di fronte alla grande disgrazia di un virus che sta rovinando la nostra vita? Perché la sofferenza di una malattia che strazia corpo e anima? Perché la pandemia?“.

La pandemia provocata dal Coronavirus‚ ha stravolto le nostre vite: la nostra quotidianità, le abitudini‚ i momenti di preghiera‚ i riti e le festività‚ si sono annullati e abbiamo dovuto riscoprire in modo nuovo la relazione con il tempo e lo spazio.  Sicuramente ci siamo ritrovati a rimodellare le nostre relazioni all’esterno e il nostro rapporto interno con il Creato e le cose. Molti di noi hanno cominciato a riflettere più intensamente sulla propria esistenza: prima del Covid eravamo sopraffatti dal nostro fare e ciò ci aveva allontanato dal pensare su ciò che vivevamo e stavamo facendo nella nostra vita.  Ora, abbiamo intensificato il nostro rapportarci con il sacro e con la nostra storia personale della salvezza. Ma c’è anche chi, preso dallo sconforto, è stato indotto ad allontanarsi dalla Chiesa e dai Sacramenti.

Nelle nostre Case, le chiese sono sempre rimaste aperte e chi voleva poteva entrare e curare la preghiera personale.  Mi ricordo di alcune operatrici, alla Castagna[2], che all’inizio turno entravano in chiesa per una preghiera davanti al Santissimo o alla Vergine Maria. Forse, e spero sia così, qualcuno ha avuto modo di riprendere e ricostruire il rapporto personale con Dio e, fermandosi davanti al Tabernacolo, ha potuto nutrire quella sfera personale che il mondo frenetico e cao-tico stava riducendo a niente in ognuno di noi prima del Covid.

In questo tempo, le Opere di Carità sono più che mai testimonianza della Fede, come chiedeva il nostro fondatore San Luigi. In modo particolare, si sono recuperati due atteggiamenti fondamentali del Cristiano: il confidare e l’ascoltare.

L’ascoltare è prestare attenzione a chi si confida, che sia parente, Ospite o chi quotidianamente lavora negli uffici, nei reparti e non solo. Ascoltare chi si confida, fa sentire l’essere accolto nelle proprie necessità o bisogni. Da tale ascolto emerge il trasformare le parole ascoltate in azioni dirette e indirette di carità, verso chi ascolta e chi viene ascoltato. Chi ascolta è portato a riflettere sul come rispondere  e a pregare[3] davanti al tabernacolo per trovare la risposta. Alimentando, attraverso il coniugare ascolto, preghiera e azione, così quella grande sensibilità che, indipendentemente dall’essere o meno credente, coglie e risponde alle esigenze da sempre percepite come parte integrante dell’assistenza/esistenza ad una persona che sia malata o sana. Chi si confida sa che l’altro lo sta ascoltando e sta accogliendo nel cuore le sue necessita: può confidare quelle parole che nell’altro si trasformano in azioni concrete d’amore non solo per lui che le ha confidate. Dal mio punto di vista nei nostri istituti si è cercato di “esserci” per confortare per rispondere alle richieste concrete che venivano dall’anima propria e altrui.

Per vivere tutto ciò si rende necessario alimentare questa fede innanzitutto ricordando che siamo in una casa cristiana, orionina. Il personale religioso è a disposizione per dare un conforto reale a chi lavora e chi vive nelle nostre Case, per vivificare l’anima che alimenta le nostre opere, per ritrovare nella preghiera la possibilità di un dialogo spirituale e per affrontare con più speranza le sfide che la vita ci può mettere davanti nel lavoro e nella quotidianità.

E infine mi domando “e tu Don Ivan come hai vissuto la tua Fede?”. Con la regola del Nodo di Salomone[4], è la mia risposta.

[1]  www.assembleedidio.org

 

[2]  Una casa del Piccolo Cottolengo Genovese, che accoglie ospiti anziani che si trova a Quarto vicino all’uscita autostradale di Genova Nervi

 

[3] “Forse ci siamo troppo abituati a dire le preghiere e ci siamo un po’ disabituati a pregare! Il rischio è quello di pensare che “se non sai dire le preghiere non sai pregare”. Non è così. La preghiera è una dimensione che parte dal cuore…  un movimento di desiderio verso Dio, d’implorazione, di aiuto, magari anche manifestato anche con rabbia. La preghiera ci mette davanti a Colui che ci illumina non per giudicarci ma per amarci, per aiutarci. Ritrovando noi stessi possiamo aprirci agli altri, condividere, con-soffrire ma anche con-gioire. Tutto questo disegna un cammino di Fede che ci rende Comunità, nel rispetto del grande dono che è la diversità di ciascuno” Don Giuseppe Scalvini, Rettore Vicario della parrocchia ospedaliera Santa Maria Annunciata di Milano in un’intervista di Valentina Meschia per il Policlinico di Milano.

 

[4]  Fondamentalmente nel mondo celtico il Nodo simboleggia il legame. Esso ha un doppio significato: positivo, perché è la forza benefica che unisce, rafforza e protegge; negativo, perché è un vincolo che lega, costringe ed imprigiona. Il Nodo è formato da due serie di anelli che si incrociano tra loro formando una sorta di croce. Il suo intreccio chiuso rappresenta la ciclicità e l’eternità e le sue forme ondulate alludono alla forza creatrice ed energetica della Madre Terra, associate all’elemento dell’acqua. Nella cultura Cristiana il Nodo di Salomone rappresenta la Croce, esso è la prefigurazione simbolica del Sacrificio di Cristo avvenuto per l’umanità per permettere a questa di riunirsi al Padre attraverso un legame inscindibile. Il Nodo di Salomone inoltre può rappresentare la soglia, simbolo del passaggio ad un’altra vita, la vera vita. Conforto reale di chi lavora e di chi vive nelle nostre Case