Intervista a Luciano De Micheli
Il 13 aprile 2021, abbiamo raccolto la commovente testimonianza del Sig. Luciano. Da più di tre anni abita a Paverano, Casa genovese del Piccolo Cottolengo di Don Orione, ma tutta la sua vita è stata caratterizzata da un rapporto speciale con il nostro Santo Fondatore. Nel giugno 1941 è stato uno dei primi ragazzi ad essere accolti al Villaggio della Carità di Camaldoli.
Sono nato il 23 marzo 1928, non ho mai conosciuto né mia mamma né mio papà. Ho saputo che mia mamma abitava nei pressi della stazione di Cornigliano, in via Della Marina, quando sono nato mi ha allattato per un po’ di tempo ma poi non poteva tenermi per la grande povertà, allora alcune signore (delle dame di carità), mi hanno affidato alle suore di Sant’Anna di Sestri Ponente (ricordo una suora che si chiamava Suor Ave). Nel 1933 le suore mi hanno detto che era morta mia madre, io avevo 5 anni e ricordo che ho suonato una campanella fuori dalla chiesa che si trovava dentro il loro orfanotrofio). Ho poi scoperto che mia madre è morta per un incidente sul lavoro in una fabbrica di Sampierdarena che faceva scatole per la conserva di pomodoro.
Sono arrivato a Paverano il 28 giugno 1941, mi sono fermato solo qualche giorno poi Don Sciaccaluga mi ha accompagnato a Camaldoli; prima vivevo al Piccolo Cottolengo di Sestri Ponente, dalle suore di Sant’Anna… un bel giorno mi portarono al Don Orione.
A Camaldoli mi ha preso in consegna Don Spada, eravamo poco più di una decina di ragazzini ed eravamo alloggiati al Castello. Andavamo a Messa, facevamo un po’ di lavoretti. Nel Villaggio abitavano i chierici che erano venuti a stare lì da Tortona. Io ricordo Don Spada, Don Durante e un infermiere chierico, Giovanni. Un giorno ho chiesto a Don Spada di poter studiare con i chierici perché volevo diventare prete. Dopo una settimana Don Spada mi ha detto che non era possibile perché mia mamma non era sposata. Ci sono rimasto molto male e questa cosa me la sono portata dentro tutta la vita.
Un giorno alcuni soldati tedeschi sono scesi a Camaldoli dal forte Richelieu e sono entrati dal cancello sopra la chiesa; qualcuno allora è sceso al Villaggio a chiamare il Direttore, e con lui è salito anche un prete che parlava il tedesco. I tedeschi volevano ispezionare il Castello, sospettando che ci fossero nascosti degli ebrei (noi ragazzini siamo stati radunati nei pressi della grotta).
Un giorno sono sceso verso Quezzi, ad un certo punto della strada c’era una casetta con i preti malati di tubercolosi, dall’altra parte c’era la casa del manente e mi sono trovato nei boschi sopra via Donghi. Lì ho incrociato dei soldati italiani che mi hanno trattenuto lì con loro, fino a quando verso sera è sopraggiunto il sergente maggiore Ermanno Allegrini che mi ha portato alla caserma di Sturla. Il colonnello della caserma ha chiesto al sergente maggiore “Ermanno cosa facciamo di questo ragazzino?”. E Allegrini gli ha risposto “me lo porto a casa io”. E difatti mi ha portato a casa dei suoi genitori in via Piacenza: sul tavolo c’era la polenta e me la sono mangiata, lo ricordo come fosse adesso. Mi hanno messo a dormire vicino a loro in un lettino perché nella camera accanto c’era la figlia con i suoi due bambini (sposata con un certo Paolo, un alpino, avevano due figli).
Ho avuto una vita molto movimentata e difficile. Ho conosciuto mia moglie Maria Rosa nel 1966 (di lavoro facevo il conduttore di impianti termici; il 18 gennaio 1976 ci siamo sposati, lei è stata un grande aiuto per la mia vita. È morta nel 2011 e negli ultimi anni l’ho curata personalmente durante la sua malattia.
Don Orione per me è mio padre. Sono stato tirato su dalle suore di Sant’Anna, da Don Orione e poi dalla famiglia Allegrini: ma il Santo mi ha guardato e protetto tutta la vita fino ad oggi, che vivo qui al Paverano.
Sono grato al Papa Francesco che risponde alle mie lettere, questa qui sotto è l’ultima che ho ricevuto dove si può leggere la benedizione agli Ospiti e ai Collaboratori del Piccolo Cottolengo.