L’importanza di saper cambiare

Uno dei temi chiave dell’antropologia culturale consiste nello studio dell’adattamento dell’uomo all’ambiente ed alla capacità di adeguarsi non solo alle situazioni statiche ma ancor più a quelle dinamiche, vale a dire ai cambiamenti. Non si tratta soltanto di resilienza ma di vera e propria capacità di adattare i propri comportamenti alle mutate condizioni. Il concetto di soggetto migliore, in quest’ottica, non coincide con il soggetto più intelligente, più bello o più forte ma con il soggetto che meglio riesce ad adattarsi ed a condurre una vita consona al progetto biologico di crescita e riproduzione.

Successivamente a questa fase potrà essere introdotto il tema della resilienza, intesa come la capacità di sfruttare le condizioni diverse o avverse a proprio vantaggio. A questa fase necessita l’ingegno, la cultura, la creatività e la scaltrezza.

Un terzo livello è caratterizzato dalla serendipity, vale a dire quel processo per cui vengono fatte scoperte anche molto rilevanti per puro caso, cogliendo e studiando situazioni ed avvenimenti imprevisti. Questo processo necessita di intelligenza, fortuna e l’acume di saper vedere ed intuire la possibilità di cambiamento anche in situazioni strane, apparentemente negative e comunque non appositamente cercate, per creare occasioni nuove meravigliosamente produttive; creatività è il termine chiave di questa fase.

Adattabilità, resilienza e serendipity sono tre livelli successivi che si sovrappongono a situazioni difficili, o comunque che sono caratterizzate da cambiamenti anche radicali dell’ambiente o del modo di vivere.

Un nostro caro amico di famiglia mi raccontò un giorno la sua storia, molto particolare ed interessante che mi è affiorata alla memoria mentre scrivevo queste riflessioni.

Nato da una famiglia medio borghese di Milano, il giovane ereditò agli inizi del novecento, una bottega da maniscalco nel cuore della città, prossima alla piazza del Duomo ed al Teatro.

Si trattava di un posto strategico per la cura dei cavalli e per la vendita dei finimenti ad una società ricca e benestante. Il padre fu orgoglioso di poter lasciare al figlio una attività così ben avviata con una clientela di grande rispetto ma fu altrettanto contrariato quando il figlio comunicò la decisione di chiudere l’attività che da tre generazioni veniva esercitata, per cambiare.

La parola cambiare significava in quel momento una frattura con il passato, un salto nel buio, la distruzione di un patrimonio costruito ed alimentato con tenace dedizione, precisione artigianale e abilità. Addio alle selle, alle finiture in cuoio, alle borchie di ottone, alla cura per i cavalli.

L’anziano genitore fu ancor più sconcertato, al punto di creare una vera e propria rottura con il figlio, quando seppe che era intenzione di aprire una tabaccheria, esercizio ritenuto di bassa levatura, inconsistente e di poco conto; passare dalla cura di una ferratura effettuata con competenza e professionalità elevata, data da una tradizione secolare, alla vendita di tabacco, “una presa”, un toscano, o poca roba del genere.

Fu invece nettamente vincente saper cambiare e lacerare la tradizione nella consapevolezza che tutto sarebbe cambiato, anticipare di dieci anni ciò che alla fine della la Seconda Guerra Mondiale sarebbe stata una scelta obbligata.

Fu così che il nostro amico si trovò proprietario di un esercizio commerciale che negli anni divenne un punto di riferimento per la “Milano bene”: la tabaccheria vicino al Duomo!

Intuire i cambiamenti, anticipare le decisioni è vitale perché il cambiamento della società e del modo di vivere è travolgente, trascina chi non comprende, travolge chi non sa stare al passo e premia chi è in grado di anticipare.

In questa fine d’anno siamo stati sommersi di auguri, di frasi e di aforismi che sottolineano con soddisfazione la fine di un anno veramente difficile e duro auspicandone uno migliore; speranza, serenità, ritrovato modo di relazionarci con la gente, con gli amici e con i nostri cari.

Anche noi abbiamo formulato gli auguri scrivendo: “Buon 2021 con un milione di abbracci! Tanti auguri a tutti. In queste feste abbiamo sentito tanto parlare della nostalgia degli abbracci. Quando venne scelto il nome per la nostra Associazione pensammo al gesto più naturale per esprimere affetto e protezione: L’Abbraccio di Don Orione. Ora questo gesto ci è stato negato per troppo tempo. Auguriamo di poterci riabbracciare ed abbracciare i nostri piccini con tutto l’affetto di cui hanno bisogno”1.

Un’altra parte rilevante delle riflessioni di fine d’anno ruota attorno ad un tema veramente interessante seppur declinato in vari modi e visto secondo differenti angolature. La riflessione si snoda sul tema della capacità di apprezzare ciò che si dava come scontato, di rivalutare le piccole cose che fanno stare bene e che danno senso alla vita e che, negli anni passati, non riuscivamo più ad apprezzare, presi come eravamo, dal turbinio delle cose da fare, degli incontri, degli spostamenti, delle programmazioni, del “rubricare”.

Abbiamo scritto molti auguri per il nuovo anno: “Dicono che quest’anno non andrebbe conteggiato, ma secondo me ci ha insegnato ad apprezzare le piccole cose, che davamo per scontate. Ma so che ci darà la forza di ricominciare più forti di prima. Ti auguro un magnifico anno pieno di serenità.”

Pensiamo che sia veramente importante sviluppare un terzo tema centrato questa volta sul tema del cambiamento. Quando iniziò la pandemia da SARS–Cov-2, qualche opinionista e qualche uomo di pensiero, cui fecero eco scritti di giornalisti o di scrittori, disse che “nulla sarebbe stato più come prima”. A fronte di questa affermazione molti vennero presi da sconforto e vennero pervasi da un sentimento negativo di catastrofismo. Il papa, solo, sotto la pioggia, a pregare in una Piazza San Pietro deserta, è l’immagine che sintetizza questi stati d’animo.

La pandemia da SARS-CoV-2 ha cambiato e sta cambiando molti dei nostri comportamenti ed impone cambiamenti anche radicali nel modo di impostare le attività lavorative, gli schemi operativi e le comunicazioni interpersonali. A fronte di tali cambiamenti abbiamo visto distrutto il nostro modo di relazionarci con le altre persone e di svolgere le nostre attività. Il primo e più importante effetto negativo è stato quello di configurarci come “spettatori” e successivamente come coloro che vivono con la passività di chi subisce.

Noi pensiamo e speriamo invece che “tutto tornerà come prima“ e che potremo riprendere la nostra vita come l’avevamo condotta sino a quando iniziò la pandemia. Viviamo il momento attuale di attesa, in una preparazione del cosiddetto “ritorno alla normalità” ma nel frattempo abbiamo avuto modo di pensare, di riflettere ed abbiamo sentito forte la necessità di cambiare. Anche quando “tutto sarà come prima”, noi non saremo più come prima e certamente avremo cambiato qualcosa di noi e del nostro modo di vivere, delle nostre abitudini: avremo modificato il nostro modo di lavorare ed interagire.

Ezio Fulcheri2

1  L’Associazione L’Abbraccio di Don Orione ONLUS (Organizzazione non lucrativa di utilità sociale)fondata il 18 dicembre 2006,  nasce dall’esigenza di prevedere e provvedere alla istituzione di una casa di accoglienza per neonati, che si possa affiancare alle strutture già esistenti sul territorio per fare fronte all’ incremento delle necessità e delle richieste.

2  Il Professor Ezio Fulcheri è Professore Associato Anatomia ed Istologia Patologica presso l’Università degli Studi di Genova; è inoltre Presidente dell’Associazione “L’Abbraccio di Don Orione”.