Orionini in cammino nella Chiesa di Papa Francesco

3.CONVERSIONE DELLE PROSPETTIVE E DELLO STILE DELLA MISSIONE a.Religiosi “profetici”

Nell’insieme dei nostri atteggiamenti e delle nostre scelte siamo chiamati a cogliere e far cogliere i segni che invitano al cambiamento, ci è chiesto di esprimere profezia, visione di futuro.

Papa Francesco, religioso gesuita, apprezza l’identità e il ruolo profetico della vita religiosa. “Nella Chiesa i religiosi sono chiamati in particolare ad essere profeti che testimoniano come Gesù è vissuto su questa terra, e che annunciano come il Regno di Dio sarà nella sua perfezione. Mai un religioso deve rinunciare alla profezia… Pensiamo a ciò che hanno fatto tanti grandi santi monaci, religiosi e religiose, sin da Sant’Antonio abate. Essere profeti a volte può significare fare ruido, non so come dire… La profezia fa rumore. Ma in realtà il suo carisma è quello di essere lievito: la profezia annuncia lo spirito del Vangelo”.[23]  Nell’incontro con i Superiori generali Papa Francesco ha ripreso questo tema ed ha esortato ad “essere profeti e non giocare a esserlo”.

Tante indicazioni di Papa Francesco sono riassumibili nell’“uscire e far uscire” in un vitale cammino sulle strade aperte del Vangelo, in uno stato permanente di missione, liberandoci da ogni forma di rigidità istituzionale e di autoreferenzialità, “per avanzare nel cammino di una conversione pastorale e missionaria, che non può lasciare le cose come stanno” (EG 25).

Ai religiosi è chiesta una specifica profezia: vivere e testimoniare in modo più visibile, con le scelte concrete, il signum fraternitatis che ci unisce gli uni gli altri, superando le tentazioni di introversione individualistica “verso un comodo privato, o verso il circolo ristretto dei più intimi, e rinunciano al realismo della dimensione sociale del Vangelo” (EG 87). La vita fraterna è una “primizia” ed un’eloquente “profezia” del cammino del mondo verso il Regno di Dio di cui la Chiesa ha bisogno.

L’altra importante profezia dei religiosi è quella del servitium caritatis.[24] “Il Vangelo ci invita sempre a correre il rischio dell’incontro con il volto dell’altro, con la sua presenza fisica che interpella, col suo dolore e le sue richieste, con la sua gioia contagiosa in un costante corpo a corpo” (EG 88). Non possono bastare “relazioni interpersonali solo mediate da apparecchi sofisticati, da schermi e sistemi che si possano accendere e spegnere a comando” (EG 88).

Noi Orionini dobbiamo distinguerci per una intraprendente e fraterna fantasia della carità per andare incontro ai fratelli in necessità e sprovvisti di provvidenze umane, “facendo qualcosa” nel nome della Divina Provvidenza, con opere di carità snelle, duttili e significative, alla testa dei tempi.

b.Religiosi che vivono la carità verso i poveri e diffondono la cultura dell’incontro.

Siamo invitati a promuovere e testimoniare la “cultura dell’incontro” come stile di vita e di missione, con gesti di  prossimità specialmente verso gli ultimi, i deboli, i malati che sono in mezzo a noi la carne di Cristo.[25]

Rivolgendosi a noi Orionini, nel 2009, il card. Bergoglio ricordò che “la frontiera esistenziale di Dio è il Verbo venuto nella carne, è la carne del Verbo. È  questo che ci salva da ogni eresia, dalla gnosi, dalle ideologie, ecc. Cercate la carne di Cristo lì. Andate alle frontiere esistenziali con coraggio e lì vi perderete. State sicuri che i giornali non vanno a parlare di voi. Quello che voi fate, per esempio nei Cottolengo, non fa notizia; quello che fate con i bambini di strada non fa notizia, non interessa al mondo, perché questo è materiale di scarto. Sono le frontiere esistenziali. Lasciatevi condurre dal buon Pastore verso questa frontiera esistenziale per esprimere l’amore e la carità”.

Per noi Orionini è molto importante sentire ribadito dal Papa a tutta la Chiesa che “toccare la carne del Verbo”, quelli che sono “i rottami della società”, come diceva Don Orione, “lo scarto della società, le periferie esistenziali”, come dice Francesco, è in se stessa azione pastorale ed evangelizzazione.

Don Orione ci ha trasmesso la coscienza che quando compiamo uno dei tanti gesti o uffici nelle opere di carità, noi facciamo opera di evangelizzazione, perché “la carità apre gli occhi alla fede e riscalda i cuori di amore verso Dio”. Nella comunicazione popolare, mi capita sovente di presentare due immagini del Fondatore – “Dobbiamo essere preti di stola e di lavoro” e “accanto ad un’opera di culto sorga un’opera di carità” – che bene esprimono il dogma orionino dell’unione di evangelizzazione e ministero della carità nella nostra missione.

“Dal cuore del Vangelo – scrive il Papa – riconosciamo l’intima connessione tra evangelizzazione e promozione umana, che deve necessariamente esprimersi e svilupparsi in tutta l’azione evangelizzatrice” (EG 178). Il servizio della carità è parte integrante della vita della Chiesa. Infatti, «L’intima natura della Chiesa si esprime in un triplice compito: annuncio della Parola di Dio (kerygma-martyria), celebrazione dei Sacramenti (leiturgia), servizio della carità (diakonia). Sono compiti che si presuppongono a vicenda e non possono essere separati l’uno dall’altro» (Deus caritas est, 25).

Non mi dilungo su questa linea della Chiesa di Papa Francesco perché è quella più “orionina”, quella che ci identifica.[26]