Orionini in cammino nella Chiesa di Papa Francesco
2.CONVERSIONE DELLE RELAZIONI a.Religiosi che sanno esprimersi in modo semplice, diretto, comprensibile
Sentiamo l’importanza di usare un linguaggio attuale; di ascoltare molto per imparare le parole che gli altri possono capire. Dobbiamo avere cura della comunicazione e della sua pedagogia, cercando e trovando parole di senso, che toccano il cuore delle persone perché sono vicine alla loro vita.
Papa Francesco è un comunicatore efficace e popolare non perché studia o usa le tecniche comunicative, ma perché ha un cuore e un’esperienza comune con la gente a cui si rivolge oggi “urbi et orbi”. La sua comunicazione è frutto di comunanza di vita, di simpatia pastorale, del contatto e dell’ascolto vissuti per lunghi anni come sacerdote, Vescovo e ora Papa. È proprio vero: quando “il pastore conosce le sue pecore una per una… le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce” (cfr Gv 10, 1-16).
Al riguardo, mi viene alla mente un ricordo di Don Orione. “Una volta predicavo un quaresimale a Sale, dove c’era un Arciprete che ci teneva ci fossero molte persone. Una sera parecchi buoni Sacerdoti, stavano riuniti attorno un tavolo, con una buona bottiglia davanti (eh! così! poveri Sacerdoti) e stavano discorrendo tra loro. Essi credevano che io dormissi, perché avevo confessato, predicato, ero proprio stanco, e si dicevano: Chissà perché quello lì che non ha studiato, attira la gente più di noi, che abbiamo tanto di laurea in teologia? Io che non dormivo, ho aperto la porta ed ho detto: Ve lo dico io il perché io sono povero, ho patito la fame, il freddo, la fatica; voi invece siete signori. Se anche voi aveste patito questo, trovereste quelle certe parole che fanno del bene: il popolo capisce che sentiamo come lui, che come lui soffriamo, il popolo sente lo spirito di Nostro Signore”.[13]
La comunicazione pastorale è frutto di comunanza di vita.
Il Papa dedica alla comunicazione della Parola di Dio tutto il Capitolo terzo (110-175) della Evangelii gaudium, con particolare attenzione all’omelia (135-144) e alla predicazione (145-159). Dice che “l’omelia è la pietra di paragone per valutare la vicinanza e la capacità d’incontro di un pastore con il suo popolo” (EG 135) di parrocchia o di scuola o di cottolengo che sia.
È un orientamento di conversione importante per noi Orionini, anche, e direi soprattutto, per quelli che dicono “io non sono fatto predicare”, perché più impegnati nelle attività pratiche, vicini alla gente. La vicinanza alla vita comune della gente è una opportunità e non una difficoltà per la predicazione che deve avere il tono e i contenuti della “conversazione di una madre”, come dice il Papa, espressa nella “vicinanza cordiale del predicatore, il calore del suo tono di voce, la mansuetudine dello stile delle sue frasi, la gioia dei suoi gesti. Anche nei casi in cui l’omelia risulti un po’ noiosa, se si percepisce questo spirito materno-ecclesiale, sarà sempre feconda, come i noiosi consigli di una madre danno frutto col tempo nel cuore dei figli” (EG 140).
Ad altro tipo di predicatori, Francesco ricorda invece che “L’omelia non può essere uno spettacolo di intrattenimento, non risponde alla logica delle risorse mediatiche, ma deve dare fervore e significato alla celebrazione” (EG 138).