Paolo Camillo Marengo

Genova è una città da sempre amata da Don Orione e i genovesi hanno ricambiato questo amore aiutandolo a realizzare il suo sogno di carità. Don Orione amava i genovesi e i genovesi gli erano devoti; l’intesa sorse e aumentò sempre più.

Molti furono gli amici genovesi di Don Orione, iniziamo con Paolo Camillo Marengo, giovane sensibile alle attrattive della vera santità, trovò nel nostro Fondatore una guida sicura e paterna e trascorse la sua vita in filiale sintonia con Lui.

Per lunghi anni Don Orione andava regolarmente a Genova un giorno alla settimana, precisamente il giovedì e spesso anche più frequentemente. Passava attraverso le sue case che sorgevano una dopo l’altra quasi come un miracolo. Le tappe di questo fiorire ed estendersi di carità sono ben note: la casa di via del Camoscio, il Conservatorio di San Gerolamo, via Bartolomeo Bosco, Quezzi, Castagna, Molassana, Paverano e Camaldoli. Ma queste grandiose opere dicono solo una parte delle sue attività a Genova. Era l’amico, il consigliere, il confortatore di moltissime famiglie. Quante scale ha salito a Genova, a quante porte ha bussato, invocato od inatteso, quante lacrime ha asciugato, quante anime ha condotto al Signore! Pur moltiplicando la sua instancabile attività, da tutti non poteva andare, allora si chiudeva nella piccola stanza di via Bartolomeo Bosco riceveva, benediceva, soccorreva, confortava. Quanta gente è passata per quell’umile casa! Vi si intrattenevano le persone più note e più umili, più vicine e lontane alla pratica cristiana, più ricche e più povere. Il tempo era prezioso, tanti attendevano, riceveva brevemente, ognuno usciva con un volto più sereno: almeno un istante ognuno si era sentito capito ed amato dalla carità di Cristo.

In uno di quei “famosi” giovedì, in via Bartolomeo Bosco, Paolo Camillo Marengo un giovane genovese, incontra Don Orione in un momento di particolare sofferenza e sente di essere da Lui paternamente compreso e amato.

L’incontro con Don Orione

L’ingegnere, nei suoi appunti racconta il primo incontro con Don Orione, incontro che ha stabilito un rapporto spirituale di profonda fiducia e confidenza in cui “ho trovato la guida sicura, cui obbedire ciecamente”. Prosegue descrivendo quel giorno “…conobbi il Rev.do Don Luigi Orione nel parlatorio della Casa detta di Santa Caterina, in via Bartolomeo Bosco a Genova, il 16 luglio 1929, festa della Madonna del Carmine. La Madonna del Carmine ha una parte abbastanza importante nella storia della nostra famiglia e, per restringermi alle circostanze più recenti aggiungerò solo che l’anno prima, alla stessa data era deceduto mio Padre, sicchè sono anche indotto ad ascrivere a qualche sua particolare preghiera la grazia di aver potuto conoscere Don Orione proprio nell’anniversario della sua morte… Vi era pure mia madre e, quando ci vide, Don Orione disse: ‘ecco il figlio ed ecco la madre’. Ci ricevette quindi separatamente ed io per primo. Non mi rivolse molte parole in quel primo colloquio, anche perché, causa l’emozione che in quel momento mi dominava, scoppiai subito in un dirotto pianto, a cui Egli quasi mi incoraggiò, dicendo: ‘questo sfogo ti fa bene’. Poi aggiunse altre cose, che ancora ho fitte nell’animo come fosse ora, con riferimento alla conoscenza che avevo del Padre Pio da Petralcina, venerando Frate Cappuccino del Convento di San Giovanni Rotondo (Foggia), cosa che, umanamente parlando Egli non poteva conoscere, sia perché da me, che vedeva per la prima volta, non poteva averle sapute e da Padre Pio neppure, stante che vigeva in quell’epoca una precisa ordinanza della Chiesa, diffidante (per motivi di prudenza) qualsiasi Ordine di Religiosi dall’avere rapporti di qualunque genere col suddetto Padre… E nondimeno, ripeto, egli sapeva; tante cose sapeva… Al termine del colloquio Don Orione promise che mi avrebbe scritto (ciò che fece, realmente, sotto forma di qualche cartolina) e si fece promettere da me qualche cosa che sembrava particolarmente interessargli e che mantenni in seguito senza difficoltà”.[1]

Caro Paolino…

Don Orione conosciuta l’anima bella di questo giovane intrattenne con lui una costante ed abbondante corrispondenza ispirata reciprocamente a grande confidenza: “Non mi chiedere mai scusa di aprirmi tutto il tuo cuore, perché questo piace al Signore, e penso che Iddio mi abbia mandato a te anche per questo. Perché tu in questi momenti almeno, non sia solo, ma ti senta vicino un padre”.[2]

La cartolina promessa alla fine del primo incontro fu spedita da Roma il 23 agosto 1929 e arrivò puntuale con queste espressioni beneauguranti: “Conforto in Domino e benedico! Sempre memore all’altare”. [3]

In risposta, dopo alcuni giorni Marengo così scrisse a Don Orione: “Mi ha soavemente commosso la Sua bella cartolina, la gentile parola ivi acclusa per me…”.[4]

Tra i desideri che il giovane ingegnere aveva espresso al nostro Fondatore vi era quello di frequentare a Roma alcuni corsi di filosofia al Collegio Angelico e Don Orione per l’inizio dell’anno accademico gli trovò una sistemazione in una sua casa a Roma e con “affetto di padre” seguì la vicenda e da Genova il 20 novembre 1929 gli scrisse: “Caro Paolino…stamattina ho veduto la tua mamma e tutte le tue sorelle, la mamma è molto tranquilla e contenta e così le sorelle; stanno bene e ti salutano carissimamente. Ora avranno ricevuto anche la tua lettera. Ho veduto nel Calendario dell’”Angelico” che hai tutte le lezioni di mattino, e che in parecchi giorni hai lezioni subito alle 8. Scrivo a Don Parodi che ti anticipi la colazione e che ti diano nel latte sempre un uovo. Vedi poi di riposare la notte, e anche nel pomeriggio quando te ne senti bisogno. Con affetto di padre in Domino”[5]

Don Orione seguì con attenzione paterna l’esperienza romana del suo “caro Paolino” e il 25 novembre 1929 scrisse: “Ho ricevuto i tuoi scritti e le buone notizie, e tutto mi riuscì graditissimo. Spero anch’io che abituerai l’orecchio alla pronunzia straniera del nostro latino così bello… Temo sempre che non ti riposi come ne hai bisogno e che non ti nutrisca sufficientemente: il nutrimento dev’essere corrispondente al bisogno, alle fatiche e anche adatto allo stomaco. Verrò e vedrò”.[6]

Dopo un mese di soggiorno nella casa orionina a Roma, il Marengo, senza esserne richiesto, invia a Don Orione un vaglia di lire 500 per l’ospitalità. La somma è considerevole e Don Orione ne rimase sorpreso. Il giorno successivo scrisse: “Due parole, mentre sto sul partire per l’Eremo di S. Alberto, torno stasera. È giunta ieri sera la tua cartolina – vaglia di L. 500, – e, veramente ne sono confuso! Non dovevi fare così caro Paolino, – ed ora tu forse sarai rimasto senza denaro! È così? Non vorrei saperti privo di ciò che ti può bisognare; vuol dire che se presto ci vedremo, e mi vorrai dire come stai in fatto di potere temporale, cioè se ti fossi privato troppo che ti verrò incontro, da padre in questo. Devi sempre avere danaro sufficiente…Coraggio, figliuol mio!”.[7]

Alcune volte Don Orione assunse atteggiamenti paternamente decisi con Marengo sempre un po’ insicuro e dubbioso. Quando sorse la necessità di un insegnante al Collegio S. Giorgio di Novi Ligure, Don Orione dopo aver sentito il Preside Don Piccinini pensa a lui “sarebbe – gli scrive Don Orione – continuare le lezioni che già hai cominciato tu… ma devi dar parole d’onore che ti impegni per tutto l’anno scolastico 1930-31, se no, no!”[8]  Con decisione paterna aggiunse “… In qualunque modo deciderai, io resto sempre per te Don Orione, cioè padre dell’anima tua e tu mi sei e sarai sempre figliolo carissimo, e metà del mio cuore e metà della mia anima”.[9]

Marengo dopo l’anno trascorso a Roma per gli studi filosofici e teologici andò a Tortona nella casa Madre dell’Opera, nella consueta familiarità con Don Orione capisce che è suo desiderio che diventi sacerdote e religioso. La proposta al momento non è condivisa, anzi diventa motivo di inquietudine e di ansia. Decise poi di rimanere laico; ma senza essere religioso, né vincolato da legami di sorta, l’ingegnere, visse come “volontario” il periodo ultimo del Fondatore, uno dei più eroici della stessa Congregazione, che amò come seconda famiglia.

Gli alti ideali della
perfezione cristiana:
andare a Dio in ginocchio

Ad un’anima come quella dell’ing. Marengo, prezioso raccoglitore dei suoi insegnamenti e memorie, interprete acuto e investigatore del suo spirito, Don Orione poteva ben additare orizzonti di alta perfezione cristiana, sapendolo capace di capirlo profondamente e condividerne gli ideali.

La corrispondenza epistolare tra Don Orione e l’ingegnere è sempre stata intensa si è rallentata solo nel soggiorno in Argentina. Qui Don Orione nonostante i molti impegni cercò di non trascurare i suoi cari amici in primis il suo “caro Paolino” a cui scrisse il 21 aprile del 1936. La lettera ha tutto il tono della confidenzialità: “Ma veniamo un po’ a te: come vai di salute? E di anima? E un po’ di meditazione la fai? E hai un confessore fisso o vai un po’ qua e un po’ là? E alla scuola ti prepari? E tieni la disciplina? Se non sapessi di far peccato mortale a toglierti da tutto il bene che fai, già ti avrei preso con me, perché ora specialmente, sento che avrei bisogno d’un segretario, e di persona fidata che, ad un tempo, porti un po’ di testa sulle spalle. E che sappia almeno parlare l’inglese e il francese. Sarà bene che ti tenga pronto o a venir qui, o a darmi aiuto, quando arriverò. Ma bisogna che ti abitui a viaggiare in aeroplano…”. [10]

I voli in aeroplano furono lo spunto per invitare il giovane Marengo ad addestrarsi per altre ascese. Da qui l’appello di Don Orione, nella seconda parte della lettera, dove con un colpo d’ala, trasportava il destinatario verso gli ideali che erano sostanza della sua vita, ma che bramava che fossero anche per tutti coloro che gli stavano vicini e si dicevano suoi seguaci: “Ma, soprattutto, addestriamoci ad ascendere verso Gesù, a Gesù, – a salire in alto, sino a lui, – chè tutte le altre volate sono nulla! E si ascenderà alle più elevate altezze, quanto più ci getteremo dal fondo profondo della umiltà… In ginocchio, caro Paolino, voglio salvare l’anima mia e le anime vostre. Voglio che ci facciamo santi stando in ginocchio… Stando o camminando in ginocchio ai piedi del Papa, e nella più intera umile, devota e dolcissima sottomissione e adesione di mente, di opere alla santa Chiesa di Roma, unica e sola madre e maestra della fede e delle anime”.[11]

Don Orione tornando dall’America nell’agosto del 1937 trovò la Congregazione in una difficile situazione economica, ricevuta questa informazione Marengo offrì tutto il denaro di cui dispose.

Fu al fianco di Don Orione fino alla fine, accompagnandolo con Giuseppe Zambarbieri alla stazione ferroviaria la mattina del 9 marzo 1940 quando, malato e stanco, lasciò Tortona e si diresse a San Remo dove morì dopo tre giorni.

Poco dopo lasciò la casa Madre di Tortona dove visse per 10 anni e ritornò a Genova; le motivazioni di tale scelta le scrisse a Don Sterpi in una lettera del 27 settembre 1940: “Ho necessità di risiedere più a lungo a Genova onde accudire agli interessi della mia famiglia, per tarda età di mia madre, la lontananza di mio fratello dalla famiglia, il richiamo alle armi del cognato più adulto, le precarie condizioni di salute di quell’altro che Lei sa. Formano ormai un complesso di motivi sufficienti a giustificare tale mio proposito”.[12] Nell’ambiente familiare, dopo ponderata riflessione, richiedendo consiglio ad anime sante, sceglie il matrimonio come espressione della volontà di Dio.

Conclusione

La vita dell’ing. Paolo Camillo Marengo si colloca tra due anni santi: quello della nascita, l’Anno Santo 1900 e quello della morte, l’anno Santo 1950, quasi a delimitare e confermare un impegno di costante ricerca della santità.

A pochi giorni dalla morte, avvenuta nella sua casa di Genova-Sturla, non potendo partecipare al raduno ex-allievi del Collegio San Giorgio di Novi Ligure per l’aggravarsi della malattia, inviò ai suoi vecchi allievi un “messaggio di fede e di amore” rivelatore di quei valori religiosi che hanno motivato la sua vita, lasciandoci quasi un testamento pervaso dagli insegnamenti  carismatici di Don Orione del quale si è sempre sentito figlio riconoscente: “È questa la seconda volta che la Divina Provvidenza permette sia ostacolata per malattia la mia partecipazione al Convegno annuale del S. Giorgio, si vivamente attesa e fortemente desiderata. Pazienza miei giovani, pazienza! Quel che Dio vuole, come Iddio vuole sia la nostra divisa, sia sempre la nostra docile disciplinata volontà. Ma non ho potuto stavolta, pur malazzato ch’io mi sia, trattenermi dall’inviarvi un saluto, un incoraggiamento un augurio, un grido di speranza e di fede, che comunque potesse esservi di norma e d’indirizzo almeno, a pensare, a intendere, a dedurre.

Miei giovani l’indirizzo ch’io vi mando è un messaggio sociale… È l’incitamento a voler tradurre in opere egregie la vigoria di quei principii che avete maturati qui, poco o molto non importa, ma anzitutto ai piedi dell’Altare poi davanti ai poveri quindi nella Scuola ed infine nella vita, per tutte quelle circostanze e sfumature e tendenze della Giustizia Sociale, cui taluno erroneamente induce paternità diverse – mentre viceversa tutto erroneamente induce paternità diverse – mentre viceversa tutto che in esse è lecito e legittimo promana e s’incentra in Lui – Gesù Cristo Crocifisso – Gesù Ostia Gesù Amore”.

Il ricordino della sua morte ne tratteggia la vita riportando queste parole:

“Anima ardente di Apostolo
Il Signore lo immolò
per il bene delle anime
per il trionfo della verità
supremi ideali
della sua vita terrena”.

Don Paolo Clerici

Paolo Camillo Marengo nasce a Genova il 3 gennaio 1900 in una famiglia di media borghesia e molto religiosa. Dopo gli studi al liceo classico “A. Doria”, si laurea in ingegneria navale, da sempre ha nutrito una grande passione per l’astrologia.

Sensibile alle attrattive della santità vera, amava ricercare l’incontro con gli uomini di Dio pellegrinando da Don Calabria a S. Alberto di Butrio, da Frate Ave Maria a S. Giovanni Rotondo e da Padre Pio da Pietralcina. Fece il militare come ufficiale nella caserma di S. Remo, poi acquistata da Don Sterpi per fondare il Piccolo Cottolengo.

Con la mamma incontra per la prima volta Don Orione a Genova nella casa di Via Bartolomeo Bosco il 16 luglio 1929 ad un anno esatto dalla morte del papà.

Nella primavera del 1930, per un grave dolore sentimentale, su consiglio di Don Orione, entra nell’Opera. Dal 1930 al 1940 vive nella Casa Madre della Congregazione in Tortona: si occupa della scuola ai chierici, alle Piccole Suore Missionarie della Carità, ai giovani del Collegio S. Giorgio di Novi Ligure e del Collegio Dante di Tortona, lavora all’economato della stessa Casa Madre e si occupa di incarichi di estrema fiducia. Fu al fianco di Don Orione, accompagnandolo al treno, anche il mattino del 9 marzo 1940, quando lasciò Tortona per poi morire a San Remo tre giorni dopo.

Don Orione subito ne intuisce la ricchezza interiore e, attrattolo nell’orbita della Piccola Opera, lo ebbe vicino a sé, fedele più che un figliuolo, pronto a qualunque sacrificio, devotissimo sempre. Il buon ingegnere, senza essere religioso né vincolato a legami di sorta, vive come un “volontario”, uno dei periodi più eroici della Congregazione, che ama come sua seconda famiglia donandosi ad essa con una dedizione senza riserva.

Allo scoppio della guerra, per gravi doveri di pietà filiale, ritorna a Genova accanto alla vecchia mamma che assistette amorevolmente, contribuendo poi in famiglia e nella sua parrocchia a quelle attività di bene che ha caratterizzato tutta la sua vita.

Il 23 gennaio 1944 sposa Emma Rolfo di Torino, celebrerà le nozze Don Carlo Sterpi, l’immediato successore di Don Orione (Paolo Marengo accolse quest’atto di grande benevolenza come un paterno sorriso che Don Orione gli rivolgeva dal cielo).

A mesi di febbrile lavoro seguirono le lunghe settimane della malattia, accettata dalle mani di Dio con edificante rassegnazione. Fu vegliato dalla famiglia e al suo capezzale si alternarono anche i superiori della Piccola Opera della Divina Provvidenza, edificati di fronte alle estreme prove di una virtù davvero eccezionale.

Sosteneva il buon ingegnere la certezza dell’assistenza della Madonna, tanto teneramente amata, e la fiducia che nell’ora della morte sarebbe sceso Don Orione – secondo un’antica promessa – a raccogliere la sua anima. Muore a Genova nella sua casa la sera del 5 giugno del 1950 confortato dalla luce che accompagna il transito delle anime privilegiate.

[1] ADO, cartella relazioni Marengo. Appunti dell’Ing. Marengo intorno alla sua conoscenza di Don Orione.
[2]  Scritti, 31, 232.
[3]  Scritti 31, 209.
[4]  ADO, cartella relazioni Marengo. Lettere di Marengo a Don Orione da Genova del 26 agosto 1929
[5]  Scritti 31, 211.
[6]  Scritti 31, 213.
[7]  Scritti 31, 214.
[8]  Idem.
[9]  Idem.
[10]  Idem.
[11]  Idem.
[12]  ADO, cartella relazioni Marengo, Lettera di Marengo a Don Sterpi da Novi Ligure del 27 settembre 1940.