ROMA: Nel salone del Laterano ricordata la conferenza di Don Orione ‘Là c’è la Provvidenza’.
Don Paolo Asolan parla di “Discernimento e provvidenza nei ‘Promessi sposi’ di Manzoni” il 22 gennaio 2015,
L’incontro culturale nella Sala della Conciliazione, al Palazzo Laterano, nel quadro del programma di “Letture teologiche dei grandi classici della letteratura”, era dedicato ai “Promessi sposi” di Alessandro Manzoni.
Questa la parte finale dell’intervento del Prof. Paolo Asolan.
Creazione, redenzione, Provvidenza si annodano insieme nella risurrezione di Cristo. La questione diventa: come si fa a fare esperienza della verità e della forza di questa risurrezione? Come si fa a vederla all’opera come Provvidenza nel mondo, e come conversione dell’anima?
In realtà, Gesù risorto appartiene a una sfera della realtà che normalmente si sottrae ai nostri sensi[1] (così appare anche dai racconti evangelici, dove gli stessi discepoli non lo riconoscono immediatamente), e dunque può vederlo solo colui al quale Egli stesso lo conceda. Vedere, riconoscere, non sono processi semplici: due osservatori che guardano una stessa scena, colgono di quella scena elementi diversi, a seconda che la loro interiorità, il loro modo di vedere e di valutare, sia stato educato ad esprimersi, a seconda dello spettro del reale sul quale sono abituati a esercitare la loro vista. Uno può percepire la bellezza, l’altro l’utilità di un medesimo fenomeno. Una mamma riconosce le pene nascoste dei figli, un fratello si accorge già meno di una mamma. La risurrezione del Signore, come la sua Provvidenza, si manifestano ai sensi, ma sono riconosciute solo da chi vede di più che attraverso i sensi.
I Promessi Sposi sono generalmente piuttosto negletti nella scuola e anche nel mondo culturale cattolico, perché il loro apprezzamento dipende dallo sguardo che il lettore ha sulla realtà: se questo sguardo non è esercitato a discernere la Presenza del Signore, allora il racconto può risultare perfino barboso, predicatorio o fumoso come un ricordo di altri tempi. Oppure può ridursi a considerazioni stilistiche, ermeneutiche magari interessanti, ma che mancano il cuore del racconto.
Penso a Italo Calvino, che ho già citato, e che in un bellissimo saggio sul romanzo manzoniano arriva a scrivere:
«E’ una natura abbandonata da Dio, quella che Manzoni rappresenta; altro che provvidenzialismo! E quando Dio vi si manifesta per mettere le cose a posto, è con la peste. C’è oggi chi tende a vedere in Manzoni una specie di nichilista, sotto la vernice dell’ideologia edificante, di quel nichilismo che ritroveremo più radicale solo in Flaubert»[1].
Significativamente, il suo saggio si intitola “I Promessi Sposi: il romanzo dei rapporti di forza”. Nella comprensione “triangolare” che egli elabora del testo, sono presenti osservazioni acute, certamente originali: ma quanto lontane dalla prospettiva e dallo sguardo di fede di un don Orione! Proprio da questo paragone emerge la specificità dello sguardo di fede – nel caso di Orione, lo sguardo di un gran santo – rispetto a uno sguardo limitato da viste puramente umane.
Com’è noto, il santo della carità tenne una famosa conferenza all’Università Cattolica di Milano il 22 gennaio 1939, intitolata – su suggerimento dell’orionino don Domenico Sparpaglione, manzoniano di chiara fama – “La c’è la Provvidenza”, giunta a noi nel resoconto stenografico che don Cojazzi pubblicò sulla Rivista dei Giovani nel maggio 1940[2].
Questo testo scritto non rende ragione fino in fondo dell’entusiasmo e della risonanza dell’evento milanese, degli effetti che ebbe sull’opera che don Orione aveva appena iniziato al Restocco.
Carlo Bo, in un vecchio articolo su di Don Orione[3], vede nell’imprevidenza il segno più vero di quella Provvidenza a cui don Orione aveva consacrato la sua vita; il che significa che egli si lasciava determinare assai concretamente dal contesto, dalle richieste, dalle persone che aveva davanti a sé, interpretandole come altrettante chiamate della Provvidenza, nel corso delle quali essa avrebbe manifestato se stessa. E questo spiega perché anche il testo su Manzoni che raccoglie quella conferenza appaia dimesso, di un’oratoria comune; ma, al contempo, spiega anche perché
«la sua parola potesse di colpo trasformarsi in un torrente di fuoco, rompere nella violenza e nell’invocazione. Don Orione doveva mettere nei suoi discorsi una tale frazione di partecipazione da ridurre al minimo il rapporto con chi lo stava ad ascoltare: sapeva entrare nel cuore dei presenti e trasmettere il fuoco della sua prima e più profonda vocazione»[4].
Attraverso quelle parole, cioè, non era soltanto don Orione a parlare: egli stesso diventava uno strumento della Provvidenza, cioè un uomo e un sacerdote nel quale l’azione provvidenziale di Dio, la forza e la grazia del Risorto, trovavano uno strumento col quale esprimersi.
Tutto questo spiega l’entusiasmo col quale Orione trattava Manzoni, al punto da volere una copia del romanzo in ogni casa che andava fondando, quasi vedendo nel racconto di Renzo e Lucia un episodio paradigmatico di quella storia che egli stesso andava scrivendo con le sue opere e la sua congregazione, tutte sotto il nome della Divina Provvidenza. Vorrei concludere leggendo un frammento di quella conferenza, anche a riparazione di una prospettiva che non ho nemmeno sfiorato, e che invece don Orione ha incarnato come pochi altri testimoni al pari di lui, e cioè il legame quasi coincidente tra Provvidenza e Carità:
«Leggete questo gran libro, questo libro che è la più alta apologia del cristianesimo che sia stata scritta, per il popolo specialmente, in questi ultimi tempi. La c’è la Provvidenza! E c’è la carità che è Provvidenza e la Provvidenza che è la carità.
Provvidenza che, molte volte, noi tocchiamo, e non la vediamo o non la vogliamo vedere; Provvidenza che si è gettata sui nostri passi, che viene a noi in tutte le forme, e con tutte le delicatezze con le quali il Signore sparge la sua luce davanti al cammino degli uomini. La c’è la Provvidenza, e c’è anche la carità, per tutti, anche per i peccatori. Guardate Fra Cristoforo: non gli preme meno l’animo del peccatore, di don Rodrigo, di quello che gli preme l’anima della fanciulla semplice, di Lucia. Tutto nel Manzoni, o miei amici, è un canto sublime che egli innalza alla Provvidenza di Dio.
Manzoni ha fatto un gran bene all’umanità, perché l’anima dell’umanità ha bisogno di verità, ha bisogno di bontà e di fede, ma anche di alta e pura bellezza, quali si trovano ei Promessi Sposi del vostro Milanese, del nostro Alessandro Manzoni»[5].
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[1] I. Calvino, Una pietra sopra, op. cit., p. 334.
[2] L. Orione, “La c’è la Provvidenza!” – Messaggi di don Orione (quaderno 18), Piccola Opera della Divina Provvidenza, Tortona-Roma 1973.
[3] C. Bo, Don Orione: la carità non ha storia, in C. Bo, Sulle tracce del Dio nascosto, Mondadori, Milano 1984, pp. 38-41.
[4] C. Bo, Don Orione: la carità non ha storia, op, cit., p. 40.
[5] L. Orione, “La c’è la Provvidenza!”, op. cit., pp. 13-14.
Dal sito: www.donorione.org