STORIA DELLE CASE

Salita Angeli

La casa di salita Angeli rappresenta il nido da dove si è spiccato il volo genovese di don Orione. La casa gode di un panorama stupendo e, pur essendo nel centro, è al riparo della frenesia cittadina.

È un piacere ammirare da lì le strutture portuali, sentire il fischio dei vaporetti che guidano in entrata e in uscita i colossi del mare. Si era là quando il Rex, il fiore all’occhiello della nostra marina, attentava al record della traversata atlantica; da lì si ammiravano i gioielli della nostra cantieristica rinata dopo il disastro bellico: l’Andrea Doria, l’Augu­stus, la Giovanni e Sebastiano Caboto e altre ancora, che animavano la fantasia.
Il benefattore Tommaso Canepa voleva ostinatamente mettere la propria casa a disposizione di don Orione. Con il card. Minoretti la diocesi di Genova conobbe un periodo di tranquillità operosa e anche don Orione prese animo e cominciò a muoversi con maggior scioltezza: non aveva la benché minima fretta di utilizzare la casa del Canepa perché in pratica ne poteva già disporre a piacimento, utilizzandola soprattutto per l’ultima sosta dei suoi religiosi destinati ad imbarcarsi per il sud America.
Dovendo lasciare il conservatorio di San Girolamo di Quarto, don Orione vi alloggiò lì dodici vecchietti e poi assemblò vari tipi di umanità: ipodotati, orfanelli che frequentavano l’asilo e le elementari comunali, Tommasini ossia i ragazzi con qualche propensione vocazionale, chierici che, oltre all’assistenza e alla scuola ai ragazzi, aggiungevano la frequenza al seminario diocesano. Ovviamente il tutto fatto con prudenza e avvedutezza, creando un provvido sistema educativo assistenziale che cresceva alla solidarietà, favoriva la serenità e donava a tutti il senso umano della convivenza.
Le suore erano le sagge e materne dirigenti. C’era poi il buon canonico Raineri che era l’anima ilare, ritagliata su misura per l’amalgama di tanto campionario. Divenne una sezione delle ragazze del Piccolo Cottolengo e, per breve tempo, piccolo seminario. Don Orione la voleva come casa di preghiera e soltanto l’intuizione di un santo poteva avere questo pensiero tenerissimo: sulle banchine del porto sottostante si consumavano tanti drammi dovuti alle forzate separazioni degli emigranti, tante lacrime amare e inconsolabili rigavano i volti e di chi partiva e di chi rimaneva. Dall’alto un mannello di anime, toccate anch’esse dal dolore e dalla sofferenza, avrebbe pregato per tutti loro.
Già da quando iniziò a frequentare l’ambiente genovese, don Orione con il suo entusiasmo aveva contagiato Tommaso Canepa, che desiderava si facesse un’opera in una delle sue proprietà. Ma sorsero difficoltà, tra le quali anche il disaccordo con alcuni familiari, e Canepa poté coronare il suo sogno soltanto diversi anni dopo. Il rapporto tra don Orione e Canepa ci fa capire chi egli intendesse per amico e benefattore: persone che lo aiutassero a «diventare santo, ad essere più buono, a far sì che Dio gli tenesse sempre la mano sulla testa». Le espressioni che egli usa nelle lettere a Canepa sono tutte di questo tono. Don Orione non cercava benefattori per tirare avanti le sue opere o, quanto meno, non era questo lo scopo principale. Il vero scopo era di offrire l’opportunità di fare del bene perché, come insegna Gesù, il giudizio di Dio è di approvazione verso coloro che soccorrono il fratello bisognoso.
Questo è il senso delle lettere che don Orione spedisce a Canepa. Scrive da Messina l’8 febbraio 1911: «Caro mio Canepa voi dovreste venire con me, come mia persona di fiducia, vicino a me perché io sento il bisogno che preghi con me e mi consigli nel Signore, e vivere di amore di Gesù Cristo e della SS.ma Vergine. Vorrei che questi fosse vecchio, che mi facesse da padre e da stimolo ad amare il Signore Gesù Crocifisso, caro Canepa, e così potreste fare del bene all’anima mia e io vi terrei come un padre, e, se vi ammalaste le vostre figlie potrebbero essere tranquille perché vi assisterei io. Forse la vostra vita sarà una vita raminga, ma pazienza, sia come piace al Signore e poi in paradiso riposeremo.
«Guardate che non è che qui o altrove ci siano delle gioie come il mondo crede perché io sono Vicario [era il periodo in cui don Orione, a seguito del terremoto siculo, era stato inviato da san Pio X come Vicario della diocesi di Messina]. A tutte le ragioni che voi mi potreste portare per non muovervi da Genova io mi limito a rispondervi: dove soffrireste di più per amore di G. Cristo? A Genova o con D. Orione? Certo con don Orione: dunque è meglio questa strada».
Il 21 novembre 1918 scrive: «Caro signor Canepa, mio fratello in G. Cristo. Sono venuto per abbracciarvi come figlio della Divina Provvidenza anche voi. Vi chiedo la carità che mi diate questa casa degli Angeli per farne una casa di orazione, di vita di sacrificio, e di lavoro santificato [la sottolineatura è sua]». Il 20 dicembre 1918: «Caro signor Canepa. Prima cosa domani è san Tommaso e io pregherò in modo particolare per voi, che il Signore vi conceda di vedere la casa degli Angeli abitata da angeli di amor di Dio e di carità del prossimo».
La casa di Canepa in salita degli Angeli divenne rifugio di tanti orfanelli. Per accoglierli tutti Tommaso si era ristretto in un bugigattolo e si trasformò in trovarobe. La figlia Concetta e il genero Vincenzo Garibaldi entrarono anche loro nell’orbita di carità di don Orione. Rimasta vedova, Concetta si spese tutta per gli orfanelli con tanta amabilità che presero a chiamarla zia.
Alla notizia dell’aggravamento del Canepa don Orione si precipitò col treno a Genova e, giunto alla stazione, estrasse l’orologio e disse a chi lo accompagnava: «In questo momento sta morendo il caro nostro fratello Tommaso». Ma merita notare la finezza di don Orione che, intuendo prossima la fine dell’amico, come racconta la Concetta, andò col conte Ravano a festeggiare il capodanno del 1930 da Canepa. Fu un pranzo insolitamente giocondo, pieno di risate e di battute allegre, delle quali don Orione era l’anima. Canepa notò la cosa con personale soddisfazione, per la gioia, la serenità, la sana e santa letizia, che s’erano trasfuse nel suo animo. Don Orione aveva anticipato il conforto e la presenza, evitando la carica emotiva che sarebbe esplosa immancabilmente nel momento della morte avvenuta tre giorni dopo, il 4 gennaio 1930. Don Orione gli aveva scritto in precedenza: «Presto staremo insieme e poi andremo in paradiso, e staremo sempre col Signore e con la Madonna SS.ma».

dal Libro: Le mani della Provvidenza