Il servizio che nasce dalla carità

Una delle vie di santità che dobbiamo prendere in considerazione come cristiani è il percorso, di interscambio reciproco, tra servizio e carità: chi ama si pone in una dimensione di servizio, e chi serve esprime amore. Sia il servizio che l’amore verso il prossimo nasce in ogni comunità cristiana dall’azione dello Spirito Santo. Diventano una via di santità con le seguenti caratteristiche peculiari.
Innanzi tutto nasce da un amore disinteressato che non cerca gratificazioni né si scoraggia davanti all’indifferenza di chi lo riceve. Pertanto il fare o esercitare la carità nel nome della Chiesa deve essere una disposizione dell’anima, nata nel proprio cuore sincero: un servizio ed una carità soltanto esteriori non sono vere disposizioni interiori.
La carità ed il servizio si manifestano nelle opere ed hanno il tratto dell’universalità perché devono estendersi a tutti gli uomini del mondo. Gesù morì per tutti, non dimenticando di suggerirci: “Amate i vostri nemici e pregate per i vostri persecutori, perché siate figli del vostro Padre celeste, che fa sorgere il sole sopra i malvagi e sopra i buoni, e fa piovere sopra i giusti e gli ingiusti. Infatti, se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete? Non fanno così anche i pubblicani? E se date il saluto soltanto ai vostri fratelli, cosa fate di straordinario? Non fanno così anche i pagani? Siate dunque perfetti com’è il Padre vostro celeste”.
Il servizio e la carità devono essere motivo di gioia interiore che trasforma il contesto in cui si esercitano in affetto: un servizio senza gioia si riduce ad un gesto senza amore e senza umanità. Se non serviamo con gioia, ciò viene avvertito come disagio da chi poniamo al centro delle nostre attenzioni. La gioia testimonia la nostre vere intenzioni e la profondità del nostro cuore facilitando il servizio e qualificandolo. Il servizio accompagnato dalla gioia lo fa accogliere dalle persone più chiuse. Dobbiamo prendere coscienza che vivere il servizio richiede di verificare in quale modo e con quale atteggiamento lo stiamo vivendo.
Questo vuol dire rivalutare nella preghiera ciò che non va nel servire o amare il prossimo per evitare certe tentazioni: l’attivismo cieco che non ascolta le reali esigenze delle persone che serviamo e amiamo (compresi i nostri cari); il vittimismo, cioè l’attendersi per il servizio considerazione, visibilità e, magari, una qualche ricompensa, e quando ciò non c’è, battiamo i piedi come bambini capricciosi; il narcisismo, quando il servire diventa evidenziare la propria immagine cercando una sterile autorealizzazione ad ogni costo, un’autogratificazione a qualsiasi prezzo ed una autogiustificazione davanti ai propri errori, incolpando sempre gli altri.
Concludendo, il servitore di Gesù è chi, nel suo intimo, non ha installato un registro di cassa sempre in funzione. Il servo, secondo il Vangelo, è chi fa quanto ai più non piace e non si affligge perché nessuno ringrazia. Il servo è colui che considera Dio ed il suo amore pienezza e gioia della propria vita, confidando, alla fine dell’esistenza, di sentirsi dire: “Bravo, servo buono e fedele, entra nel gaudio del Signore”.

Don Ivan Concolato