Terza domenica di Avvento: la gioia
Strana la domenica della gioia di quest’anno … strana perché è fatta di due tonalità che paiono contrastanti, stonate se messe assieme. In realtà se leggiamo bene ci accorgiamo che questi due colori, queste due melodie, sono capaci di intrecciarsi in un’armonia calda, capace di farci leggere tutte le esigenze e le proposte della fede.
C’è una melodia aspra, addirittura spaventosa … ed è la prima che dobbiamo ascoltare; viene dal Battista: annunzia il Veniente, che in quel momento storico era Gesù di Nazareth che stava per rivelarsi come il Cristo di Dio, e lo presenta come il più forte che dà un battesimo di fuoco, un’immersione nel fuoco che purifica e toglie le scorie. Il Battista proclama che il Cristo viene con un’azione violenta come il vento che spazza via ciò che non è per il Regno veniente. Giovanni Battista usa un’immagine agricola, quella della trebbiatura che già i profeti avevano usato nella Prima Alleanza per parlare del giudizio del Signore: come il contadino che solleva alto in aria la pula e gli scarti per distinguerli dal grano, così farà il Cristo veniente!
Spesso si dice che qui il Battista si inganna perché Gesù, al contrario delle sue parole, sarebbe venuto non con questa violenza e nettezza ma con l’arma della misericordia … Penso che sia una lettura edulcorata e da immaginetta devozionale, un’immagine di Gesù dolciastra, sentimentaloide … il Battista lotta contro siffatte immagini “religiose” e rassicuranti; sono queste, infatti, immagini riduttive che conducono inesorabilmente ad un solo frutto terribile: la mediocrità di chi vuole vivere sommando l’insommabile!
Giovanni sta dicendo che il Cristo è esigente, che le sue domande sono compromettenti, che le sue richieste non ammettono edulcorazioni … alle tre classi di persone che lo interrogano il Battista risponde con quelle che saranno le esigenze imprescindibili dell’Evangelo: giustizia e amore.
È vero: Cristo ci pone delle richieste che ci lacerano, ci sconquassano, ci contraddicono! Nell’Evangelo di Matteo c’è quel detto di Gesù che turba tanto i “quietisti” di tutti i tempi: Non crediate che io sia venuto a portare pace sulla terra; non sono venuto a portare la pace ma una spada (cfr Mt 10,34). La spada è quella a doppio taglio tante volte citata nella Scrittura per dire come la Parola giudichi, distingua, chieda scelta di campo(cfr Is 49,2; Sal 149,6; Sap 18,15; Eb 4, 12; Ap 1, 16; 2, 12; 19, 15.21). tanto è vero che Luca riferirà lo stesso detto specificando cosa è la spada: è la divisione tra quelli che scelgono il Regno e quelli che scelgono il mondo. Nello stesso Evangelo di Luca, dopo le dolci scene del Natale, siamo condotti al Tempio dove il vecchio Simeone non usa mezzi termini per descrivere quel Bambino che ha tra le braccia: Sarà segno di contraddizione e svelerà i segreti di molti cuori, sarà pietra di inciampo; attraverso di Lui alcuni cadranno ed altri risorgeranno e aggiunge che una spada trafiggerà l’anima della Madre del Messia; e certo in Maria si adombra Israele che ha generato il Messia ma che per quel Messia si dividerà, in quel Messia Gesù troverà quel segno di contraddizione su cui operare scelte coraggiose e definitive (cfr Lc 2, 34-35).
Gesù non è venuto con un Evangelo dolciastro e rassicurante e non verrà così alla fine della storia! Gesù non lascia spazi aperti ad alcun compromesso con la mondanità e le sue potenze che sono quelle di Mammona: ricchezza, potere, possesso, orgoglio, disprezzo dei poveri.
Non si può essere di Cristo e non bruciare di quel fuoco che Lui è venuto a portare. Quel fuoco di cui bisogna ardere vigilando nell’attesa del suo giorno; quel fuoco che deve essere la scelta del “frattempo” che la Chiesa vive nell’attesa che si compia la beata speranza della sua venuta.
Chi non è disposto a bruciare fino a consumarsi per l’Evangelo è lontano dal Regno e non è un uomo dell’Avvento.
I rappresentanti de popolo che vanno dal Battista gli fanno la solita domanda: Che cosa dobbiamo fare? Il Battista risponde con chiarezza: bisogna prendere una decisione dinanzi a Colui che viene; questo valeva allora ma vale ancor più per noi che attendiamo il suo ritorno e sappiamo del suo amore fino all’estremo e sappiamo della vittoria del suo amore; una decisione che deve essere cosciente che il progetto della nostra vita attende una conclusione. Alla conclusione noi non vogliamo pensare e crediamo di poter
protrarre il “gioco” all’infinito per poter fare le nostre mosse a nostro piacimento. È proprio vero quello che Dostoevskij scrive nel suo romanzo “Memorie dal sottosuolo” (1864): L’uomo è un essere frivolo e incongruo e forse, come il giocatore di scacchi, ama solo lo svolgimento del gioco e non la conclusione. Pensiamoci … è davvero così! L’Avvento è un tempo per guardare alla conclusione; uno sguardo non terroristico ma consapevole e responsabile. Uno sguardo che può e deve trasformare il “gioco”!
Questa domenica è però detta domenica “Gaudete” perché in essa c’è un’altra melodia: appunto la melodia della gioia!
È vero: chi decide, guardando alla conclusione, per le esigenze nette e non equilibristi che del Cristo, prova in se stesso una pace e una serenità grandi. La paura non prende il sopravvento, è sopraffatta dalla fiducia nel Veniente. La melodia della gioia la intona in questa domenica già il profeta Sofonia con uno splendido canto in cui le parole che ricorrono e si rincorrono sono: gioisci, esulta, rallegrati, esulterà di gioia, si rallegrerà con grida di gioia come nei giorni di festa!
Sofonia annunzia che nella Gerusalemme rinnovata dalla scelta di fedeltà al Signore si ritroveranno, come in un grembo fecondo,, il Signore e gli uomini che hanno fatto del Regno la ragione delle loro scelte, della loro vita!
La gioia è anche il tema del cantico del Libro di Isaia che oggi ha il posto del consueto salmo responsoriale e la gioia è addirittura il comando di Paolo nel passo della Lettera ai cristiani di Filippi, un testo che nella traduzione latina della Vulgata ha dato il nome a questa terza domenica di Avvento: Gaudete in Domino semper. Iterum dico: Gaudete! (“ Gioite nel Signore sempre! Ve lo ripeto: Gioite!”)
L’uomo, pervaso da questa gioia, scrive Paolo, ha il dovere di mostrare l’ affabilità (in greco è “tò epieikés”). Che significa? Serenità, amabilità, tranquillità, bontà, dolcezza! Insomma chi è pervaso da questa gioia deve essere uno specchio di Dio.
Noi discepoli di Cristo, in questo mondo cupo, non dobbiamo aggiungere tristezze ma dobbiamo far esplodere la gioia! Non una gioia a basso prezzo ma scaturente dalle scelte radicali che si fanno nella sequela di Colui che attendiamo e che verrà con il fuoco e che ci chiede di vivere di fuoco!
P. Fabrizio Cristarella Orestano