Un banchetto di nozze per suo figlio
Il regno dei cieli è simile a un re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. Così inizia una parabola del vangelo secondo Matteo.
Nelle parrocchie più zelanti e nei seminari si insisteva molto sull’Ottobre missionario, sulla necessità di conoscere la realtà missionaria, gli sforzi anche eroici di tanti missionari in terre lontane, il dovere di pregare per loro e sostenerli con un sostanzioso aiuto economico che coinvolgesse tutta la comunità cristiana.
Credo che sia importante anche oggi fare innanzitutto un esame di coscienza sulla nostra fede, se ne sappiamo apprezzare l’importanza e la bellezza per noi, e una riflessione più in generale sulla situazione religiosa nella nostra società e il clima culturale che sta attraversando la nostra epoca soprattutto in occidente e in altre parti del mondo.
Gesù ad un certo punto del suo annuncio evangelico pone una domanda inquietante, per i credenti in modo particolare, dice: Il Figlio dell’Uomo quando verrà troverà ancora fede sulla terra? C’è anche l’eventualità cioè che possiamo ritrovarci tutti estranei alla fede.
Ecco perché è ancora urgente la proposta di una giornata missionaria che scuota eventualmente la stanchezza o la superficialità della nostra vita.
Un banchetto di nozze per suo figlio, si diceva.
Dio non intende abbandonare l’umanità, anzi, subito dopo il peccato d’origine fa il proposito di chiamarla ad una maggiore intimità con lui. Si tratta delle nozze stesse tra Dio e l’umanità.
Nozze che si realizzano nell’incarnazione del suo figlio unigenito Gesù Cristo, vero Dio e vero Uomo. In lui il cielo e la terra sono definitivamente uniti.
L’immagine matrimoniale ha le sue radici nella tradizione biblica, in cui la relazione tra Dio e Israele viene descritta mediante quella di coppia. E poi ricordiamo quella frase di Gesù quando viene rimproverato perché i suoi discepoli non digiunano: possono essere in lutto gli invitati a nozze mentre lo sposo è con loro?
Ma il guaio è che i primi invitati a questa festa, i primi destinatari, si mostrarono indifferenti e ostili, chi doveva lavorare, andare al campo, chi doveva fare affari, vendere un paio di buoi, chi doveva seppellire il proprio padre. Eppure era un invito gratuito, fatto solo per amore, non per interesse da parte di Dio. Egli rimane Dio nella sua grandezza, è l’uomo a guadagnarci nel rapporto con Dio.
Ma questo è il dramma dell’umanità che continuamente si ripete al di là di Scribi e Farisei cui storicamente si riferisce questa parabola. È la svalutazione della gratuità e la sopravvalutazione della convenienza il vero motivo del rifiuto.
Siamo sempre molto materialisti: il rapporto con Dio ci sembra inutile e scomodo perché abbiamo altre urgenze che ci premono: gli affari, il lavoro, lo studio, la carriera, il riposo, il divertimento, le ferie. È la logica del secolarismo: Dio non ci serve, anzi ci disturba.
Ma Dio non rinuncia al suo progetto, non smette di volere il bene dell’uomo e di amarlo. E rivolge il suo invito ad altri, a tutti, buoni e cattivi, e saranno proprio questi ultimi, i più lontani, i poveri, gli storpi, gli zoppi, caratteristiche spirituali più che fisiche, a capire la straordinaria fortuna capitata loro. Questi, a differenza dei primi, aprono la loro vita all’incontro con Dio.
Non è storia del passato, è la storia di oggi. Interi paesi dove un tempo la fede fu fiorente e diffusa, oggi è del tutto marginale se non scomparsa del tutto.
Sarà così anche il nostro prossimo futuro?
Al contrario altri popoli nuovi stanno aderendo con entusiasmo al messaggio evangelico e fanno intravedere un futuro promettente per il mondo intero. Le parti possono sempre invertirsi.
È qui che ognuno è posto di fronte al suo destino e verità.
Il profeta Isaia descrive la salvezza finale sotto il segno di un banchetto per tutti i popoli, fatto di cibi succulenti e vini prelibati, una salvezza definitiva perché anche la morte sarà vinta e le lacrime asciugate su ogni volto.
Troppo bello per essere vero? Ma questa è la speranza che sostiene i credenti nelle difficoltà e fatiche della vita.
La giornata missionaria interroga soprattutto la nostra fede. Che ne abbiamo fatto della fede?
La parabola dice buoni e cattivi. Sicuri di essere noi i buoni e gli altri i cattivi? Sensibili come siamo, oggi, possiamo anche non accettare o ribellarci a questa idea di separazione o di giudizio, ma certamente alla fine non sarà uguale essere vissuti in un modo o in un altro. E ci consola il fatto che non tocca a noi fare questa distinzione perché solo Dio possiede gli elementi per fare giustizia su ciascuno. A noi importa solo tendere ad essere buoni o a passare da cattivi a buoni.
Questa convivenza tra bene e male è la natura stessa della chiesa in questo mondo, perché esiste dentro ogni persona, ma nessuno è escluso preventivamente, tutti chiamati invece.
E la risposta positiva che ognuno è chiamato a dare è rappresentata nella parabola dal segno della veste bianca, nessuno può entrare nella sala della mensa senza indossare la veste bianca.
Nella tradizione biblica e cristiana la veste rappresenta le qualità etiche e spirituali della persona. I primi cristiani ci hanno visto la veste battesimale, la fede e le opere corrispondenti. Senza questa veste non si può appartenere alla comunità: tutti sono chiamati, buoni e cattivi, ma nessuno può restare nella sua condizione di cattivo. La chiamata non garantisce l’elezione. Monito per tutti sempre.
Un appuntamento da non mancare l’Eucarestia che Cristo ci ha lasciato come anticipazione e pegno di questo banchetto eterno di salvezza. Ci sostiene in un atteggiamento di servizio e disponibilità sull’esempio di Cristo che offre la sua vita.
Se la fede cristiana viene vissuta come chiamata ad una festa di nozze, allora l’Eucarestia non è da trascurare o posticipare sempre a motivo di altri impegni, ma l’occasione in cui possiamo rinnovare il nostro sì all’alleanza con Dio, o meglio ancora il nostro sì nuziale, perché non solo siamo chiamati a partecipare a una festa di nozze, ma siamo candidati tutti ad essere noi gli sposi. Se nell’incarnazione del suo figlio Dio ha sposato l’umanità allora il matrimonio è tra il Signore e ciascuno di noi. Non siamo solo invitati ma i protagonisti di questa festa di nozze.
d.g.m